Anche Johnson & Johnson è stato sospeso, come avvenuto con Astrazeneca, per motivi cautelativi, questa volta negli Stati Uniti. Senza allarmismi inutili, abbiamo provato a spiegare perchè, e che cosa sappiamo sull’argomento ad oggi.

Con una sostanziale gran dote di cautela, racconta ArsTechnica, martedì scorsi i funzionari sanitari statunitensi hanno raccomandato di sospendere l’uso del vaccino COVID-19 di Johnson & Johnson. I funzionari hanno collegato il vaccino a sei malattie particolari in cui le persone hanno sviluppato coaguli di sangue potenzialmente pericolosi, ancora una volta in combinazione con bassi livelli di piastrine. Una persona è morta a causa delle loro condizioni, ad oggi, e un’altra è in condizioni critiche. Come nel caso di Astrazeneca, non è ancora chiaro se il vaccino abbia effettivamente causato la malattia, o se si tratti di una correlazione spuria e non causale. Anche se lo facesse, del resto, le malattie rappresenterebbero un effetto collaterale estremamente raro rispetto al rischio trombosi che si potrebbe avere senza farlo, e rimanendo esposti alla malattia (i dati in merito sono ancora parziali, del resto, e non sembra opportuno fare analisi dei dati che abbiamo).

I sei casi si sono verificati tra più di 6,8 milioni di persone negli Stati Uniti che hanno ricevuto il vaccino Johnson & Johnson: ciò lo renderebbe un effetto collaterale visto in meno di uno su un milione. Il rischio di ospedalizzazione e morte per COVID-19, da cui il vaccino protegge, supera facilmente questo rischio, e si può dire senza dubbio che i benefici del vaccino superino ancora una volta i rischi. Tuttavia, facendosi forza anche del fatto di possedere abbondanti scorte di vaccini Moderna e Pfizer-BioNtech – nessuno dei quali è stato collegato a casi del genere, a quanto sembra – i sanitari statunitensi hanno scelto la via cautelativa di sospendere il vaccino di Johnson & Johnson, mentre indagano ulteriormente sui casi e informano i medici su come individuare e trattare tutti gli altri che possono sorgere. Quest’ultimo punto è fondamentale, dato che se i medici cercano di utilizzare trattamenti standard per i coaguli di sangue in questi casi legati al vaccino, i risultati possono essere potenzialmente fatali.

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Ovviamente, l’aspetto critico di questa vicenda è che i funzionari hanno già visto questi casi anomali in precedenza, collegati a un vaccino COVID-19 analogo sviluppato da AstraZeneca, ed emerso dalle ricerche di alcuni ricercatori dell’Università di Oxford. Il vaccino AstraZeneca non è ancora autorizzato per l’uso negli Stati Uniti, nello specifico, ma è stato autorizzato in molti altri paesi, compresi quelli dell’Unione Europea (e anche in Italia, almeno ad oggi). Nelle ultime settimane, le autorità di regolamentazione nell’UE e nel Regno Unito hanno indagato su dozzine di casi simili, che coinvolgono coaguli di sangue associati a piastrine basse o casi di trombosi. Alcune stime hanno fissato il tasso di casi segnalato di una persona su 100.000 che viene vaccinata con questo vaccino.

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Al netto della spiegazione semplicistica a cui troppi, purtroppo, finiscono per appellarsi (passa l’idea fuorviante e pericolosa che i vaccini siano più pericolosi della malattia che combattono, facendo diventare questi casi una comoda strumentalizzazione per argomentazioni no vax), il blog tecnologico americano ha sottolineato come gli esperti stiano osservando la connessione forse più ovvia per spiegare questi casi: entrambi i vaccini Astrazeneca e Johnson & Johnson fanno uso un vettore ad adenovirus, un sistema di somministrazione virale utilizzato regolarmente nello sviluppo del vaccino e che uno studio tedesco, peraltro, sembra indicare come causa delle trombosi. Gli adenovirus sono una grande famiglia di virusche causano una serie di infezioni nell’uomo, da raffreddori lievi e malattie simil-influenzali fino a polmonite o gastroenterite. Oltre agli umani, possono infettare una vasta gamma di animali, inclusi maiali, mucche e scimpanzé. I ricercatori, di fatto, lavorano con gli adenovirus da decenni. Il vaccino Johnson & Johnson utilizza l’adenovirus (Ad26), identificato per la prima volta nel 1961, mentre il vaccino AstraZeneca si basa su un adenovirus che circola negli scimpanzé (ChAdOx1).

Nel corso degli anni, i ricercatori hanno considerato utili sistemi di somministrazione degli adenovirus per vaccini e terapie geniche di ogni tipo: del resto sono agevoli da preparare in grandi lotti e in condizioni di laboratorio. Quando progettati per i vaccini, possono provocare potenti risposte immunitarie nelle persone contro i germi che vogliamo combattere. E sono apparsi relativamente sicuri negli esseri umani, soprattutto perché sono spesso modificati in modo che non possano replicarsi nelle nostre cellule. I ricercatori hanno proseguito con gli adenovirus per lo sviluppo di vaccini, dove potenti risposte immunitarie possono essere un vantaggio, anziché un pericolo. Nel caso del COVID-19, i vaccini a base di adenovirus portano il codice genetico della proteina spike SARS-CoV-2, che è la proteina con gli “aculei” che sporge dalla particella del virus che tutti ormai conosciamo. La proteina spike è ciò che SARS-CoV-2 utilizza per entrare nelle cellule umane ed è un obiettivo chiave per sviluppare adeguati anticorpi e altre risposte immunitarie.

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Nulla di cui aver paura o su cui fare terrorismo psicologico, insomma: la scienza ha sempre funzionato così. Resta il fatto che non è agevole per nessuno, purtroppo, spiegare queste cose ad un grande pubblico che diversamente mai, di fatto, se non ci fosse la pandemia si sarebbe interessato a questo argomento. Abbiamo forse bisogno, più di tutti, di maggiore trasparenza da parte delle aziende produttrici del vaccino (che spesso ostentano solo silenzio, purtroppo, aumentando la preoccupazione ed il rimuginio delle persone comuni sul problema), ma anche di buoni divulgatori che sappiamo spiegare queste cose in modo semplice o quantomeno comprensibile dalla maggioranza di noi. Cosa che purtroppo ancora oggi non succede, e che speriamo possa avvenire quanto prima.

E c’è una notizia molto più tranquillizzante, che dovrebbe calmare gli animi un po’ di tutti: a quanto pare, infatti, il 99.992% delle persone vaccinate evita, di fatto, di essere contagiato dal covid-19. È quanto racconta una ricerca del Centers for Disease Control and Prevention, l’organismo per il controllo della sanità statunitense, risultato ancora più importante e rassicurante se si pensa che nessun altro vaccino, di fatto, possiede il 100% di efficacia. Su oltre 75 milioni di persone completamente vaccinate negli Stati Uniti, solo 5.800 persone circa si sono infettate lo stesso dopo aver ricevuto la somministrazione completa, nei fatti. Nella pratica ciò corrisponde ad un’efficacia pari al 99.99%. Secondo Fauci (il famoso immunologo statunitense, intervistato mesi fa anche a Che tempo che fa con Fabio Fazio), inoltre, anche se il vaccino non protegge dall’infezione, sicuramente protegge dall’aggravarsi della malattia.

Nel frattempo, si raccomanda di seguire le stesse precauzioni di sempre, anche se si dovesse già aver ricevuto il vaccino: mascherina indossata correttamente (possibilmente FFP2 e certificata), lavaggio frequente delle mani o disinfezione con il gel delle stesse, distanza di sicurezza sempre mantenuta, limitazione dei contatti personali.

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay, fonti: ArsTechnica, ArsTechnica

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