Leultime.info è un blog collaborativo che ispira armonia. Sul nostro blog, promuoviamo un approccio sostanziale alla comunicazione, incoraggiando a condividere opinioni in modo costruttivo e rispettoso. Gli articoli non riflettono necessariamente la visione del proprietario del progetto.
Leggi pure...
- Definire la libertà come indipendenza nasconde un pericoloso equivoco. Non esiste per l’uomo indipendenza assoluta (un essere finito che non dipenda da nulla, sarebbe un essere separato da tutto, eliminato cioè dall’esistenza). Ma esiste una dipendenza morta che lo opprime e una dipendenza viva che lo fa sbocciare. La prima di queste dipendenze è schiavitù, la seconda è libertà. Un forzato dipende dalle sue catene, un agricoltore dipende dalla terra e dalle stagioni: queste due espressioni designano realtà ben diverse. Torniamo ai paragoni biologici che sono sempre i più illuminanti. In che consiste il respirare liberamente? Forse nel fatto di polmoni assolutamente indipendenti? Nient’affatto: i polmoni respirano tanto più liberamente quanto più solidamente, più intimamente sono legati agli altri organi del corpo. Se questo legame si allenta, la respirazione diventa sempre meno libera e, al limite, si arresta. La libertà è funzione della solidarietà vitale. Ma nel mondo delle anime questa solidarietà vitale porta un altro nome: si chiama amore. A seconda del nostro atteggiamento affettivo nei loro confronti, i medesimi legami possono essere accettati come vincoli vitali, o respinti come catene, gli stessi muri possono avere la durezza oppressiva della prigione o l’intima dolcezza del rifugio. Il fanciullo studioso corre liberamente alla scuola, il vero soldato si adatta amorosamente alla disciplina, gli sposi che si amano fioriscono nei legami del matrimonio. Ma la scuola, la caserma e la famiglia sono orribili prigioni per lo scolaro, il soldato o gli sposi senza vocazione. L’uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell’esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell’esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. Così il problema della libertà non si pon in termini di indipendenza, ma in termini di amore. La potenza del nostro attaccamento determina la nostra capacità di libertà. Per terribile che sia il suo destino, colui che può amare tutto è sempre perfettamente libero, ed è in questo senso che si è parlato della libertà dei santi. All’estremo opposto, coloro che non amano nulla, hanno un bello spezzare catene e fare rivoluzioni: rimangono sempre prigionieri. Tutt’al più arrivano a cambiare schiavitù, come un malato incurabile che si rigira nel suo letto. (Gustave Thibon)
- Gli uomini, infatti, consapevoli che ogni luogo ha bisogno di giustizia, hanno creato il mito secondo cui il posto che Temi occupa presso Zeus, e Dike presso Plutone è lo stesso che la legge occupa nelle città, affinché colui che compie ingiustizie in ciò di cui è responsabile appaia nello stesso tempo come uno che compie ingiustizia in relazione all’intero universo. (Giamblico)
- Cominciai a pensare l’uomo educato e l’uomo ineducato, anzi a vederli; e mentre l’ineducato mi appariva in ispecie di uomo-porcospino, circondato di lunghissimi aculei che sono i raggi espansivi dei suoi bisogni, delle sue necessità, dei suoi desiderii, delle sue voglie, dei suoi comodi, del suo ‘spazio vitale’; vedevo invece l’uomo educato che per rendere meno disagevole la vita in comune ritrae i raggi dei suoi bisogni, li riassorbe in sé, finisce per non avere bisogni e riduce le sue necessità di vita a quel minimo necessario oltre il quale c’è la morte; e per un istante anche l’uomo educatissimo mi apparve, che ‘per semplificare’, rinuncia a vivere; perché l’educazione, tutto sommato, è una quistione di imballaggio. (Alberto Savinio)
- Preferii restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia […] questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quest’altra mascherata, continua, d’ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontari quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere […] Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio, quieto! – Il guajo è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia. […] La mia vita è questa! Non è la vostra! – La vostra, in cui siete invecchiati, io non l’ho vissuta! (Enrico IV) ( Luigi Pirandello )
- Le parole sono vive, entrano nel corpo, bucano la pancia: possono essere pietre o bolle di sapone, foglie miracolose. Possono fare innamorare o ferire. Le parole non sono solo mezzi per comunicare, le parole non sono solo il veicolo dell’informazione, come la pedagogia cognitivizzata del nostro tempo vorrebbe farci credere, ma sono corpo, carne, vita, desiderio. Noi non usiamo semplicemente le parole, ma siamo fatti di parole, viviamo e respiriamo nelle parole. (p. 90) ( Massimo Recalcati )
- Altissimo Amore, se può essere che io muoia | senza aver saputo donde vi possedevo, | in quale sole era la vostra dimora | in quale passato il tempo vostro, in quale ora | io vi amavo, || Altissimo Amore che superate la memoria, | fuoco senza focolare di cui ho fatto tutta la mia luce, | in quale destino tracciavate la mia storia, | in quale sonno si vedeva la vostra gloria, | o mia dimora… || Quando sarò per me stessa perduta | e dispersa nell’abisso infinito, | infinitamente, quando sarò infranta, | quando il presente di cui sono rivestita | avrà tradito, || per l’universo in mille corpi frantumata, | di mille istanti ancora non riuniti, | di cenere setacciata nei cieli fino al nulla, | rifarete per una strana annata | un solo tesoro || rifarete il mio nome e la mia immagine | di mille corpi portati dalla luce, | viva unità senza nome e senza volto, | cuore dello spirito, oh centro del miraggio, | Altissimo Amore. (Catherine Pozzi)