5 brani rock rivisitati che raccontano l’ansia dei nostri giorni

Non staremo qui a ribadire per l’ennesima, squallida volta come il Covid abbia cambiato le nostre vite, forse per sempre, forse ancora a lungo, forse fino a dopodomani: chi lo sa con certezza è proprio bravo. Gli amanti dei concerti sono in crisi di astinenza da più di anno, la crisi ha colpito duramente il settore dello spettacolo ed il virus, naturalmente, si è dimostrato spietato anche in questo ambito.

L’ansia è un problema a molti livelli, ma si può affrontare – più che affidandosi a guru che pretendono di iniettare positività ad ogni costo – dando spazio alle nostre emozioni ed evitando di farci a pugni, spingendo sempre nella direzione che vogliamo dare alla nostra vita e sfruttando un approccio costruttivo come l’ACT, ad esempio: Acceptance and Commitment Therapy, ovvero imparare (quasi sempre con l’aiuto di un terapeuta e documentandosi in modo adeguato) ad acquisire maggiore flessibilità psicologica, a dare spazio alle emozioni sia positive che negative, concentrandosi sul “qui ed ora” e perseguendo i nostri obiettivi di vita con coerenza, gradualità e senza forzature.

In questo articolo ho pensato di raccontare il periodo che viviamo attraverso vari pezzi rock e punk che hanno sempre girato nelle mie playlist in questi mesi, cercando così di esorcizzare il periodo e provare, se possibile, ad affrontarlo con più carica e motivazione del solito. Non per altro ma una cosa è certa: il ritorno alla normalità ci sarà, e bisogna arrivarci pronti perchè non sarà scontato, porterà nuove sorprese e ridefinirà le nostre vite in modo irreversibile. Siete pronti?

Bad Religion – Anxiety (No control, Epitaph, 1989)

Anxiety for love of life
Anxiety for pain
Anxiety, a feeling that you know you can’t contain
Anxiety destroys us but it drives the common man
Foundation of society
Anxiety
Suppress it if you can

Stando alle definizioni offerte dalla psicologia, l’ansia è un sentimento distinto dalla semplice paura, e si caratterizza come relazionata a specifici comportamenti da attuare in risposta ad eventi che percepiamo tipicamente come minacce. Nulla che tutti non abbiamo provato, almeno una volta, dal 2020 in poi: un senso di smarrimento, quasi di agonia, apprensione di fronte ad una “sfida” che era diventata sempre più complessa e confusa da affrontare.

Nel 1989 i Bad Religion producono uno dei loro dischi epocali: si tratta di No control, in cui i brani probabilmente migliori vengono scritti dal cantante Greg Graffin, cantante, paleontologo e biologo statunitense alle prese con testi molto incisivi e significativi, nonostante la velocità serrata del disco suggerisca un approccio più superficiale. Nel brano di parla di ansia, ovviamente, un sentimento che dovresti provare a sopprimere senza farti sopraffare dallo stesso, che può essere indotta da amore per la vita, dolore o altro, che è un fondamento della società in cui viviamo (purtroppo oggi a maggior ragione), in grado di distruggere e – al tempo stesso, in un grottesco paradosso – guidare l’uomo moderno. Vale la pena in questa sede di ricordare anche un estratto del brano di apertura del disco, Change of ideas:

L’era moderna è qui
Tante teorie, tante profezie
Quando abbiamo paura
possiamo nasconderci
nelle nostre fantasticherie
Ma ciò di cui abbiamo bisogno
è un cambio di idee

 

Nine Inch Nails – Every day is exactly the same (With Teeth, Nothing Records, 2005)

Every day is exactly the same
There is no love here and there is no pain

Nel periodo del lockdown la sensazione che ogni giorno fosse uguale al precedente è stata imperante, insostenibile fin dall’inizio per molti e purtroppo in tanti non hanno resistito, facendosi investire dallo sconforto o peggio. Ogni giorno è esattamente lo stesso, e ce ne ricorderemo tutte le volte che ci capiterà di lamentarci della monotonia delle nostre vite, apertamente e beffardamente sconfessata da un virus (che all’inizio sembra cosa di poco conto, ricordiamo) diffuso su scala mondiale. Nel frattempo le persone sono state obbligate a congelare, annullare o ridefinire le proprie relazioni a qualsiasi livello, in nome di una prudenza biologica che quasi mai si è tradotta in altrettanta sicurezza psicologica.

Per dirla alla Trent Reznor: ogni giorno è esattamente lo stesso, non c’è amore e non c’è dolore.

Erode – Conoscenza Reciproca (Tempo che non ritorna, Gridalo Forte Records, 1997)

Segnalami con cura all’autorità preposta
La foto segnaletica oppure un fermoposta
Astenersi mercenari puttane ed agenzie
Sono saturo di voci e povero di idee

Band storica della scena punk italiana, provenienti da Como e di chiara derivazione oi!, gli Erode producono un piccolo capolavoro a metà anni Novanta che vive di sottotesti politici espliciti, senza dubbio, ma al tempo stesso trova spazio per una forma di esistenzialismo mai risolto.

Quando è arrivato il Covid-19 anche in Italia, del resto, iniziò ufficialmente il periodo delle delazioni e delle accuse reciproche (segnalami con cura all’autorità preposta), con ritornelli e mantra diventati ormai nauseanti (non ne usciremo mai, scrivono ancora adesso le persone postando a volte vecchie foto di folle risalenti al 1999), e con un clima di sovra-informazione e saturazione dei concetti che ormai ha stufato praticamente chiunque, senza che l’idea risolutiva possa prendere piede e diventare popolare: notizie positive rigorosamente minimizzate (l’annuncio dell’arrivo dei vaccini, ad esempio, è stato accolto in modo alquanto tiepido sui media, per usare un eufemismo), notizie negative o dubbie negativizzate a prescindere, contraddizioni quotidiane, ignoranza e meme che, di fatto, facevano sempre meno ridere.

Per sintetizzare con il testo di questo pezzo: sono saturo di voci e povero di idee.

Fear factory – What Will Become? (Digimortal, Roadrunner Records, 2001)

Man has taken time from all that you see
look in his eye and you still will not see
no! you will not see!

Il leitmotiv più frequente di questa pandemia lo abbiamo tutti in mente: “non si vede la fine” di questa storia, evidenziando responsabilità politiche ormai inequivocabili, a fronte di un’oscurità in cui ognuno di noi sembra chiamato a ritrovare un senso ai propri giorni. Questo brano, seppur in un contesto cyberpunk, sembra raccontare il medesimo senso di smarrimento: “L’uomo ha sottratto il tempo da tutto ciò che vedi, Fissalo negli occhi e non vedrai nulla“.

Punkreas – Fermati e respira ( Inequilibrio Instabile, 2019, Garrincha Dischi)

Il vero risultato è conservare il fiato

per dare voce a ciò che sei

La pandemia ha spezzato il ritmo anche per chi, ad esempio, era abituato al fuggi-fuggi delle grandi città, catapultandolo nella dimensione del cosiddetto smartworking dal quale, in fondo, fuggivo (smartworking che sarebbe più corretto chiamare working from home). Da lì è stata una pausa rigenerativa (nonostante lì fuori la paura dominasse sovrana: non ricordo di aver avuto così tanta paura come a marzo/aprile del 2020 in tutta la mia vita. E questo anche per colpa delle cover di canzoni romane che si sentivano in versione karaoke dai balconi all’epoca: ne usciremo migliori! Ce la faremo! Andrà tutto bene!)

Non è andato proprio benissimo, diciamo, ma l’aspetto se vogliamo positivo è stato riuscire a ritagliarsi e ridefinire il proprio tempo, almeno per chi ha potuto farlo senza dover contrastarsi con il capetto aziendale (per non dire peggio) che magari pretendeva si lavorasse comunque in presenza. Come dicono i Punkreas, in fondo, in un testo che più azzeccato e profetico non si potrebbe:

Chi si attarda è fuori corsa

Sai ti han detto che se perdi sono guai

Non mollare è il tuo mantra

Ma la gara non finisce mai

Sarai col vento contro e senza fiato

Fermati e respira

Come quella volta che ti sei perso

Come quando era tutto diverso

Fermati e respira

Che domani il sole sorge lo stesso

E ti stanno già portando via

La parte più importante di te

Immagine di copertina: Di Edvard Munch – Google Art Project: pic, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=37623446

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