L’Inter ieri sera ha perso, come il Milan del resto, il proprio esordio in Champions League, cedendo ad un Real non troppo in forma ma, sicuramente, più sul pezzo; si parla di sconfitta “ingiusta”, per lo più, ma andando a vedere nel dettaglio appare evidente una maggiore esperienza e furbizia di Ancelotti, abile a stravolgere la gara azzeccando i cambi (cosa che l’Inter inzaghiana non ha saputo fare). Va riconosciuto il merito di un avversario che ha saputo vincere toccando pochissime palle, cosa che – a ben vedere – è da sempre una prerogativa delle grandi squadre. L’Inter di suo ha dilagato, inventato, ha corso e ha giocato con grande compatezza e dignità, senza riuscire a superare l’asticella della qualità che in altri casi viene attribuita a realtà come l’Atalanta (che tendenzialmente fa anch’essa più “bel gioco” che bei risultati, a ben vedere).
La débâcle, per quanto lontana dall’essere umiliante (l’Inter sta comunque, coi suoi tempi ed un passo da lumaca, recuperando una dignità sportiva che aveva praticamente dimenticato), rischia di aver già compromesso il cammino in Champions League della squadra di Inzaghi. Prima che qualcuno ci accusi di disfattismo è bene considerare che questa vittoria vale oro per il Real, che si qualificherà con grandi probabilità lasciando nella baruffa le altre 3 rivali: e si sa, l’Inter contro le grandi piccole non sempre è sul pezzo. Quel secondo posto può diventare utopia se non ci si sveglia dall’incubo immediatamente, già dalla prossima, e non si mantiene un ritmo alto (concedendo qualcosa anche al saper gestire la gara, cosa che ci manca da un pezzo). Bisognava vincere e basta, secondo noi, anche solo per dare uno schiaffetto a chi ha esultato al pari con la Samp o ha goduto dell’ennesima partita bislacca, emozionante quanto deludente nell’esito finale. Una squadra sì quadrata, forse addirittura migliore dello scorso anno, ma in grado di perdersi in un bicchiere d’acqua negli ultimi 10 minuti finali. Chiaro, tutti noi speriamo di avere torto, e che questo articolo diventi carta straccia tra qualche mese, figlio di un “vittimismo” di cui noi interisti siamo accusati più o meno dalle nostre origini.
Vizio antico, quello della scarsa resa negli ultimi minuti, attribuito spesso agli allenamenti imposti da Conte e che, evidentemente, non era la causa di ogni male. La squadra nerazzurra di Milano ha vinto molte partite l’anno scorso giocando a metà regime, finendo quasi sulle ginocchia e facendo tremare fino all’ultimo respiro i propri tifosi; è valso uno scudetto sudatissimo ed immensamente sottovalutato, che già nei giorni successivi i soliti giornalisti ultras di altre squadre declassavano ignobilmente a “scudetto precario”.
Non che qualcuno rimpianga Conte, del resto – soprattutto per i tempi, i modi bruschi e la vaga ipocrisia con cui ci fa sapere di essere rimasto “legato” (?) all’ambiente. Se è per questo anche Mourinho è legato all’ambiente da sempre, ma intanto è andato alla Roma (e da lì non aspetta altro se non uccellarci per bene, verso l’inizio di dicembre) e forse, viene in mente, meglio avrebbe fatto a rifare un giro dalle parti di Appiano. Del resto è evidente che il portoghese sia un “morattiano” di ferro, date le frecciatine sugli stipendi rivolti settimane fa peraltro, a ben vedere, fake news: l’Inter gli stipendi li ha pagati in ritardo come molti altri, ma li ha pagati.
Tornando al presente, Inzaghi raccoglie un’eredità scomoda, giocata quasi esclusivamente sulla pressione e sulla voglia di arrivare al 20° scudetto, quasi fosse un obbligo morale, e tentare quantomeno una qualificazione dignitosa in Champions. Cosa che non sarà facile: già la prossima fuori casa con lo Shaktar sconfitto anch’esso a tradimento dallo Sheriff saprà di sfida all’ultimo sangue. E poi sì, c’è l’incognita Sheriff, che rischia di diventare (almeno ad oggi, e anche qui speriamo di essere presi in giro dai posteri per aver previsto cose mai avvenute) un ennesimo Beer Sheva per i nerazzurri.
Insomma un girone già complesso immensamente complicato da questa sconfitta, una doccia fredda che mai avremmo voluto e che, sportivamente, è necessario accettare senza scomodare bislacche idee di “testa alta“.
Johnny Vulkan from New York, East Village, USA, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons
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