È quantomeno curioso pensare che Benjamin Libet si sia occupato della libertà, il che richiama per assonanza il suo stesso cognome. È poi, se ci pensiamo da profani in materia, ancora più singolare che abbia trattato la questione da neuroscienziato, interrogandosi sulla possibilità che la libertà individuale esista davvero, da un punto di vista fisiologico. La domanda che si è posto Libet, di fatto, rientra in un corpus di considerazioni che sono derivate dai suoi esperimenti, anche a prescindere dalla validità e dai limiti (discussi fino ad oggi) dei suoi esperimenti.
Il punto di partenza delle ricerche di Libet risale a metà degli anni ’60, e riguardava esperimenti sulla cosiddetta Bereitschaftpotential (ovvero il potenziale di prontezza motoria o PPM). Si partiva dall’analisi di un elettro-encefalogramma poco prima di un atto di movimento volontario, osservando due picchi nel grafico che caratterizzavano il PPM. Partendo da questo Libet voleva capire, a questo punto, se ci fosse un lasso o gap temporale tra inizio della PPM e realizzazione effettiva dell’azione. Ciò che emerse è una forma di ritardo di coscienza: sembrerebbe infatti che, nel compiere un atto, ogni essere umano sia cosciente di ciò che fa poco prima il compimento e molto dopo la “decisione” a livello neuronale.
L’esperimento di Libet è complesso (viene descritto qui nel dettaglio); ciò che interessa in questa sede è la conclusione: anche successive analisi sul delicato tema della volontà avrebbero confermato che la coscienza non abbia, abbastanza clamorosamente per certi versi, un vero e proprio ruolo causale su alcune azioni umane che, formalmente, sono ritenute da sempre libere quanto soprattutto coscienti. Secondo lo scienziato trascorrevano circa 300 ms dopo che il cervello si era preparato a compiere l’azione, come se – volendo spiegarla in modo semplificato – avesse deciso molto tempo prima di farlo. In altri termini, per citare Libet stesso, l’attivazione di un atto volontario spontaneo […] può iniziare, e di solito inizia, in maniera inconscia.
Sia pur facendo un’approssimazione rapida e per certi versi grossolana, per molti questa scoperta fu letta nel fatto che non esista, di fatto, il libero arbitrio. Il risultato del suo esperimento è in ogni caso contro-intuitivo e complesso da spiegare: i soggetti erano pronti a compiere un movimento già 1 secondo prima dell’inizio del movimento, ma sembrava fossero consapevoli solo 200 ms prima del movimento, confermando una sorta di pre-determinazione cerebrale che rendeva molto improbabile decisioni istantanee arbitrarie. Libet stesso fu contrario a trarre conclusioni tassative in merito, come dichiarò in più sedi.In senso più ampio, e secondo l’interpetazione della neurofisiologa Susan Pockett, la scoperta di Libet andrebbe limitata al fatto, sia pur notevole, che in determinati contesti la decisione di quando compiere un’azione avvenga, da parte dell’essere umano, in modo inconscio.
Molti altri scienziati tra cui, ad esempio, Daniel Dennett, non contestano l’esperimento in sè ma la sua interpretazione pessimistica, ovvero: “Ciò che ha scoperto Libet non è che la coscienza resta vergognosamente indietro rispetto alle decisioni inconsce, ma che i processi decisionali coscienti richiedono tempo”.
Oggi la parola “libertà” ha assunto in certi ambiti un significato diverso da quello che aveva storicamente; per quanto non tutti siano d’accordo in merito, proprio per questo tali riflessioni sono a nostro avviso importanti e da rivalutare. Se la libertà del singolo è perennemente messa in discussione, a volte a ragione altre meno, resta la considerazione sul focus molto marcato in merito. Come se la libertà in fondo ci importasse davvero molto, per quanto poi decisioni a livello politico e quotidiano smentiscano questa tendenza. Non ci sono certezze in merito, e difficilmente ce ne saranno nel prossimo futuro.
Fonte: Treccani – Foto di Pete Linforth da Pixabay
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