Ormai da giorni ci raccontano che, se vogliamo tornare alla normalità che la pandemia di COVID-19 ha brutalmente stravolto, dobbiamo sacrificare la nostra privacy e installare un’app (Immuni, quella ufficiale del governo) che traccino tutti i nostri contatti giornalieri nella vita reale. Come misura di contenimento di una pandemia di cui non sappiamo molto, in teoria, sembrerebbe funzionare. Questo sacrificio, al cui solo pensiero di sottrarsi sembra di rientrare in una dimensione anti-sociale e da demonizzare a prescindere, potrebbe essere fuorviante (per non dire peggio): potremmo a breve vivere in un mondo in cui è normale che chiunque venga tracciato negli spostamenti, e si affidi ad un’app per decidere se e quando uscire di casa. C’è anche da dire, complice una sostanziale ignoranza tecnologica media che affligge il nostro paese, che gli argomenti anti-app sono spesso banalizzati dalla stampa generalista: basta leggere espressioni come “i giovani sono preoccupati di perdere libertà” per rendersene conto, senza contare l’argomento principe dei pro-app: “se non ti fai il problema per Facebook, perchè te lo fai per Immuni?“. Purtroppo, cari amici, non è la stessa cosa: Immuni è un’app promossa dal mio Governo, non da un privato a cui scelgo se partecipare ed unirmi alla sua app.
Un algoritmo che decide… cosa devi fare
Ogni app informatica si basa su algoritmi (che sono un po’ dei “ragionamenti” artificiali, se vogliamo, o insieme di passi da eseguire, per dirla secondo l’informatica classica). In questo caso abbiamo un algoritmo decisionale: deve infatti “decidere” o suggerire i casi a rischio, i potenziali focolai, i contatti a rischio e via dicendo. Ma lo fa per sua natura, direi, su una base approssimata o euristica: questo semplicemente perchè, se non fosse così, il problema sarebbe stato archiviato da un pezzo.
C’è un aspetto sostanziale in ballo: rischiamo di affidare le nostre vite a decisioni prese da algoritmi e da software per cui, nonostante Immuni sia open source (che è già qualcosa, ovviamente, ed ha definitivamente sdoganato la sua importanza anche in Italia), non sarà necessariamente chiaro il criterio di funzionamento a chiunque.
L’app, come detto, “decide” e risposte a domande su un aspetto importante della nostra vita – posso uscire o no? potrei essere stato infetto? ecc. – cercando di dare per forza una risposta, una risposta che chiediamo tutti, e che risponde ad un’ansia generalizzata che sta caratterizzando questo 2020 in tutto il mondo. Ma il fatto che questa app fornisca una risposta, al netto di errori di valutazione, di bug imprevedibili e di progettazione, non significa affatto che quella risposta sia corretta. La principale cosa che contesto, in effetti, è proprio questa: non mi pare troppo accettabile che si testi un’app del genere, in ambito medico, senza un protocollo di base troppo chiaro, ed usando direttamente i cittadini come beta tester (scriverei “cavie” ma probabilmente sarebbe un’esagerazione). Mi chiedo anche, peraltro, in che modo questa app sia stata testata (in tempi di piena pandemia, peraltro, cioè in condizioni abbastanza pericolose), visto che si basa sull’affidabilità della vicinanza rilevata dal bluetooth (che funziona di default fino a 20-25m in metri, è un hardware abbastanza facile da bucare per eventuali virus o malware e, di fatto, sarebbe inutile se non fosse tarata correttamente a esattamente un metro o giù di lì. È stato fatto, vero?)
Funzionalismo e positivismo
Questo aspetto si lega ad una visione che Google in primis, e con lei molte altre realtà analoghe (soprattutto multinazionali informatiche), promuove da tempo: che esista un’app per risolvere qualsiasi problema, cosa evidentemente falsa. Ecco il cosiddetto funzionalismo, sul quale sembra istruttivo leggere il bel libro, sebbene dai toni leggermente apocalittici (quanto scientificamente impeccabile) scritto nel saggio Nuova Era Oscura. Questo è a mio avviso uno dei veri problemi che i critici anti-app, per primi, dovrebbero inquadrare meglio.
Peraltro c’è anche un ulteriore inghippo: l’app rischia di creare un falso senso di sicurezza, della serie “ho l’app e sono a posto così“, smetto di pensare, ci pensa l’app a decidere se qualcosa non va, chi se ne frega se poi neanche mi lavo le mani o faccio assembramenti nel bar sotto casa.
Non installi l’app? Sei un boomer complottista e irresponsabile!
Le critiche ad Immuni, a cominciare da pagine Facebook dal discutibile umorismo a finire nelle discussioni più disparate, sono in genere demonizzate a prescindere: si da’ per scontato che chi non è d’accordo ad installare l’app sia un boomer sfigato, ignorante e senza argomenti, che non si fa problemi a dare i suoi dati a Tinder per poi scagliarsi contro il Governo con tanto di insulti sgrammaticati. Non è un caso, infatti, che ad esempio, vari politici tutt’altro che progressisti si dichiarino contrari ad installarla.
Attenzione, quindi: si può essere contrari ad Immuni per i motivi sbagliati: il punto non è tanto, in questo momento, la privacy come valore cristallizzato da difendere come un monolite sacro, quanto l’idea che possa davvero essere un’app a salvare e migliorare le nostre vite “in automatico”. Con tutto il rispetto dovuto a Bending Spoons (che ha creato Immuni), infatti, mi chiedo anche perchè un’azienda privata abbia accettato di sviluppare un’app così importante, in così poco tempo, senza farsela nemmeno pagare. A pensare senza malizia, verrebbe da credere che siano immensamente responsabili e progressisti (cosa bizzarra per un’azienda privata che, di questi tempi soprattutto, deve badare sempre al profitto), oppure che magari abbiano aspirazioni da “salvatori della patria” (ed io lo rispetto ugualmente, ovviamente: basta dirlo chiaramente, pero’). Non mi viene in mente altro, e non riesco a declinare o spiegare questa cosa, dall’esterno, senza degenerare in quel funzionalismo sul quale sono sempre molto scettico.
Della serie: il fatto che esistano app per farsi portare mangiare e per scopare – e che queste app funzionino davvero, non implica affatto, come molti tendono a credere (in base ad un misterioso automatismo positivista) che Immuni possa essere altrettanto utile.
Qual è il vero problema di Immuni (e di qualsiasi app del genere)
Il problema principale di Immuni, di fatto, sembra essere legato ad una circostanza che in pochi hanno considerato: semplicemente se un medico non può ad oggi per forza salvarti o proteggerti al 100%, non può certo farlo un’app. Il contenimento del virus, nei fatti, è avvenuto con il lockdown che ha fatto rabbrividire commercianti ed alfieri della libertà individuale, ma è purtroppo l’unico modo scientifico per farlo.
L’informatica è un sistema a supporto delle decisioni in ambito medico, pensare che l’app funzioni da sola a prescindere significa, semplicemente, non fare i conti con la realtà, o essere troppo ottimisti e creduloni. Alla base del suo funzionamento non esiste un protocollo medico condiviso (e questo semplicemente perchè non ne esiste uno nella realtà: fateci caso, voglio dire, oggi i guanti non servono più, ieri le mascherine erano inutili, domani chissà).
Progettualità dell’app
Le fasi di sviluppo di un software come un’app, peraltro, vivono varie fasi di revisione, aggiustamento e verifica, ma alla base deve esserci un progetto, una determinata visione che nel caso in questione – credo – appare vaga o, per certi versi, addirittura ingenua o troppo “alla buona”. L’idea di fondo di Immuni sembra essere: in mancanza d’altro raccogliamo dati, poi si vedrà. Ma se è davvero così bisognerebbe forse chiedersi se alla base ci sia effettivamente la tutela della salute pubblica, o magari (senza scomodare dietrologie salviniane, intendiamoci) si stia semplicemente cercando di offrire un maldestro contributo (in totale buonafede magari), che pero’ rischia di essere fuorviante e di non risolvere il problema. Questo è quello che dovrebbero pensare, secondo me, quelli che hanno già installato Immuni, quel 2 milioni e passa di italiani che dopo averlo fatto si sentono a posto con la propria coscienza e forse (speriamo di no) neanche si pongono più il problema delle norme igieniche (e ovviamente dovrebbero riflettere un po’, secondo me, su questa cosa).
Complottisti vs. “illuminati”
L’app Immuni fin dalla sua nascita ha polarizzato i pareri, da una parte i fan oltranzisti della privacy (peraltro non per forza troppo competenti tecnicamente), dall’altra la mentalità di chi semplicemente vorrebbe da buon borghese medio non avere rotture di coglioni, tornare alla normalità senza troppi pensieri. I primi spesso scomodano dietrologie sgangherate e non si rendono conto di quello che dicono, ma ci sono molti altri che propongono a ragione parallelismi inquietanti con il pensiero orwelliano o, informatici esperti come Edward Snowden, sono preoccupati non tanto di oggi bensì dei presupposti che stiamo ponendo per il futuro. Dall’altro, i fan di Immuni sembrano essere felici di averla installata: 2 milioni di persone contente e tranquille, d’accordo, che dovrebbero pero’ ricordare che non sono “immuni” a un bel nulla solo per il fatto di avere un’app omonima installata.
“Ma noi dobbiamo tornare alla normalità!“
Tutto qui: sì, sono pensieri polarizzati e forse leciti entrambi, anche se nel secondo caso c’è un ulteriore pensiero malinteso alla base di tutto: il ritorno alla normalità. Scusate, cosa intendiamo precisamente per normalità? Abbiamo visto che l’unico dato quasi certo, ad oggi, è che l’adottamento di misure igieniche potenziate funziona – il tutto senza entrare troppo nel merito sull’uso di guanti e mascherine, ma badando al fatto che adottare maggiore pulizia personale, delle superfici e del resto, funziona al fine di limitare la portata del virus.
Il ritorno alla “normalità”, ad una normalità spensierata e poco pulita, in cui possiamo pensare a correre in ufficio in orario a costo di ammassarci sui mezzi, a 30 cm medi di distanza gli uni dagli altri, è fuori bersaglio, purtroppo, e rientra in un piano di frenesia irresponsabile che rischia solo di riportarci a pagina zero di questa terribile storia. Non esiste forse alcuna normalità a cui tornare: bisogna guardare la questione in termini evolutivi e sapersi adattare, prima di tutto mediante i nostri comportamenti più responsabili.
Il target di pubblico di Immuni
C’è anche un aspetto conclusivo che mi fa riflettere: a chi esattamente è rivolta l’app Immuni? Fermo restando che chi se ne frega delle regole non la installerà, sembra plausibile che sia rivolte alle persone responsabili che il distanziamento già lo praticano. Perchè, a questo punto, se è davvero rivolta alle persone che già praticano il distanziamento e le misure igieniche in modo consapevole e corretto, c’è il rischio che l’utilità dell’app sia da mettere fortemente in discussione anche su questo fronte. Il rischio mi pare legato alla creazione di una potenziale “campana di vetro” digitale, in cui convivono persone di elite che sono convinte, come da titolo, di essere “immuni“.
Un vero e proprio paradiso artificiale promosso dal governo che sembra quasi volerci inibire dal pensare alla realtà: il distanziamento, le mascherine e via dicendo. Senza contare che un’app di ultima generazione gira solanto sui telefoni di ultima generazione, precludendo a parte della popolazione la possibilità di accedervi e ponendo le basi per un mondo, questa volta sì, un tantino troppo distopico (termine usato male dalla maggiorparte dei media, in questi mesi, ma è forse l’unica volta in cui mi sento di usarlo senza abusare del termine).
Conclusioni
Non sono un complottista modello scie chimiche, anti-5G ed altre fesserie analoghe: sono un informatico da più di 20 anni e sapete, questa storia dell’app mi ha molto colpito e mi sento coinvolto. Spero si capisca che non intendo offendere nessuno o convincerlo della mia idea, ma soltanto esporla pubblicamente. Poi ognuno farà le proprie considerazioni, e se Immuni servirà davvero – con criteri, anche qui, tutti da capire – sarò il primo ad esserne felice.
Il rischio che vorrei evidenziare è quello di usare l’app per forza di cose, senza consapevolezza o addirittura senza convinzione, facendo spallucce alla prima violazione massiva dei dati con la stessa indifferenza con cui, ad esempio, la gente ha continuato ad usare Zoom (altra app in trend in questi mesi) nonostante non fosse particolarmente attenta alla privacy.
Ma soprattutto: quando riceveremo centinaia o migliaia di segnalazione di potenziali infetti, ci sarà modo di effettuare tamponi per tutti?
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