Vi raccontiamo una storia che risale al 1976: un’epoca in cui i punti assegnati per la vittoria erano solo 2; non era possibile tesserare giocatori stranieri; non c’era il VAR, nè la gol-line tecnology; i calciatori erano dipendenti delle squadre e non aziende; gli stadi erano sempre pieni; i portieri non usavano quasi mai i guanti; le maglie erano di lana e prive di sponsor, nomi dei calciatori e con numerazione da uno a undici e la “numero 10” si guadagnava sul campo con il rispetto di tifosi e compagni; in panchina c’erano solo tre giocatori di cui un portiere e i cambi possibili solo due; le televisioni trasmettevano solo le sintesi delle partite e, da alcuni campi come quello di Catanzaro, spesso, i servizi non arrivavano nemmeno in tempo per essere messi in onda su Novantesimo Minuto.
Un arbitro… qualsiasi!
Ma – cosa più importante per la storia che andiamo a raccontarvi – in campo scendevano solo un arbitro e due guardalinee: niente quarto uomo, niente giudici d’area (fortunatamente spariti), solo la classica “terna arbitrale” e qualche delegato federale tra spalti e spogliatoi. Un’altra epoca lontana ormai quasi cinquant’anni, da cui tante cose sono cambiate e nuove figure sono state create, come quella del “quarto uomo“. Seppure la figura del quarto uomo sembri più che altro una sorta di “bidello” al servizio della terna – alza il tabellone delle sostituzioni (come se numeri e nomi sulle maglie non siano già abbastanza grandi), comunica al mondo i minuti di recupero decisi dall’arbitro titolare, tiene a bada gli allenatori più facinorosi e poco altro – in realtà ha un compito sottovalutato ma importantissimo: essendo lui stesso un arbitro a tutti gli effetti, può sostituire uno dei componenti della terna nel caso in cui uno di essi patisca un infortunio durante il riscaldamento o a partita in corso. Negli anni ’70, invece, il regolamento – un po’ a sorpresa, se letto con gli occhi di oggi – recitava che in caso di infortunio di un guardalinee questo poteva essere sostituito da una qualunque persona presente allo stadio munita di regolare tesserino di arbitro.
1976: va in scena Catanzaro-Novara
Era il 18 aprile 1976, giorno di Pasqua, allo stadio “Militare” (oggi ribattezzato “Nicola Ceravolo”) di Catanzaro si affrontano i giallorossi locali e il Novara. A dieci giornate dal termine, entrambe le contendenti si trovano nel gruppone di testa e lottano per la promozione nella massima serie, sfuggita un anno prima ai calabresi solo dopo aver perso lo spareggio contro il Verona. Arbitra il fischietto internazionale Lattanzi, mentre i guardalinee sono il fratello dello stesso Lattanzi e Percopo.
Data la classifica corta, le formazioni giocano per vincere, cercando di non lasciare per strada punti preziosi. A metà del primo tempo sono gli ospiti ad andare in vantaggio con il gol dell’ex di turno Piccinetti. Il Catanzaro tenta il tutto per tutto per pareggiare e il Novara cerca di colpire ancora in contropiede. Ma ad un quarto d’ora dal termine dell’incontro, succede l’impensabile: il guardalinee Percopo si infortuna seriamente alla gamba, tanto da necessitare il ricovero in ospedale. Dopo un primo momento di panico generale, l’arbitro Lattanzi prende in mano la situazione e, regolamento alla mano, fa annunciare dallo speaker dello stadio che se tra il pubblico ci fosse stato qualcuno munito di tesserino arbitrale avrebbe potuto presentarsi a lui e sostituire il guardalinee infortunato consentendo il prosieguo della gara.
Il guardalinee sostituito. E poi, segna Palanca
Ecco che un giovane fotografo di nome Mario Negro – che seguiva la partita da bordo campo per conto di una rivista locale – si presenta al giudice di gara e ai capitani delle due squadre con un tesserino da arbitro in mano. Constatata la regolarità del documento, Lattanzi affida la bandierina al giovanotto e ordina alle squadre la ripresa del gioco. Il Catanzaro spinge sull’acceleratore e, a cinque minuti dal termine dell’incontro, Massimo Palanca – idolo e simbolo indiscusso di tutta la Catanzaro calcistica di ieri e di oggi – realizza il gol del pareggio. La strana partita termina così sull’1 a 1, un pareggio che, sulla carta, serve poco a entrambe.
Da lì a poche ore però emerge una strana verità: il sostituto guardalinee, in realtà, aveva sì un tesserino da arbitro all’apparenza regolare ma, in realtà, la locale sede dell’AIA (Associazione Italiana Arbitri) lo aveva da poco sospeso e dichiarato decaduto. Il presidente giallorosso, Ceravolo, intenta subito ricorso chiedendo la ripetizione della partita. I piemontesi, da parte loro, chiesero l’assegnazione della vittoria a tavolino per responsabilità oggettiva del club catanzarese.
Il giudice sportivo, solomonicamente, decise per la ripetizione del match, da rigiocarsi il 17 giugno, solo tre giorni prima dell’ultima giornata di campionato. La dirigenze novarese riflettè a lungo sull’opportunità di presentare ricorso alla decisione, consci del fatto che alla squadra piemontese, per com’era la classifica in quel momento del campionato, servivano i due punti, mentre tra le possibili decisione che avrebbe potuto prendere il giudice del riesame ci sarebbe stata anche quella di omologare l’1 a 1 maturato sul campo. Alla fine scelsero di non ricorrere e accettare la ripetizione del match, speranzosi di vincerlo, consapevoli che tre giorni dopo la partita con il Catanzaro, nell’ultima di campionato, avrebbero dovuto affrontare un’altra sfida infernale (sia dentro lo stadio che per il clima torrido di fine primavera) a Foggia, contro un’altra squadra in lotta per la promozione: scelta che, con il “senno di poi”, si rivelerà sbagliata. Ma su questo torneremo più avanti.
La partita, alla fine, deve essere rigiocata
Da lì a giungo in classifica non si verificarono particolari scossoni tra le squadre di testa, tant’è che Catanzaro e Novara arrivarono al re-match quasi appaiate in classifica e in piena lotta per la promozione. Dato che, com’è noto, la fortuna è cieca ma la sfortuna ci vede benissimo, nella penultima di campionato, il Novara colleziona le ammonizioni di due titolari inamovibili e giocatori fulcro della formazione come Vivian e Menichini che, per via della regola della somma delle ammonizioni, avrebbero dovuto essere squalificati per la succesiva partita (i turni di squalifica per Menichini furono addirittura due). Generalmente, all’epoca, il giudice sportivo emanava le sue sentenze il mercoledì per farle entrare in vigore 24 ore dopo. In quell’occasione, però, il giudice anticipò il referto di un giorno, facendo risulare effettive le squalifiche già da giovedì, giorno dello spareggio di Catanzaro.
La concomitanza dell’assenza di due giocatori indispensabili e di uno stadio “Militare” pieno all’inverosimile (pensate che in quell’impianto che oggi può ospitare circa 14.500 spettatori, per il match del 17 giugno se ne assieparono 30.000) a sostegno di una squadra in salute e ormai lanciata verso la promozione, giocò a sfavore dei piemontesi che subirono un sonoro 3 a 0 maturato nella ripresa, grazie alle reti del solito Palanca – che segnò due gol di testa, nonostante la sua altezza non raggiungesse il metro e settanta – e di Improta.
E alla fine, fu serie A per il Catanzaro
La matematica imponeva così a entrambe di vincere l’ultima di campionato per poter tornare in A. I calabresi svolsero il loro compito vincendo contro la già retrocessa Reggiana per 2 a 1, in una partita al cardiopalma, risolta da Improta all’ultimo minuto (la prima segnatura era stata, tanto per cambiare, di Palanca).
Il Novara, invece, perse 1 a 0 a Foggia in un match che decretò, nel contempo, la promozione dei pugliesi.
Novara, e le sue sliding doors
Torniamo ora al discorso dei calcoli sbagliati dei Novaresi: se avessero fatto ricorso contro la decisione di ripetere la partita di Catanzaro, magari avrebbero potuto vedere riconosciuto il risultato maturato sul campo e il relativo punto in classifica e, oltre a questo, avrebbero evitato di andare a giocare due trasferte a tre giorni di distanza l’una dall’altra, a fine giugno, nell’arroventato Sud Italia, in cui raccolse due sconfitte quando, invece, avrebbe potuto giocare la sola partita di Foggia con una squadra più fresca e riposata riuscendo, magari, a vincerla. Se la storia avesse preso questo corso, il Novara, con tre punti in più sarebbe salita in Serie A, condannando i pugliesi ad un altro anno di B e i Catanzaresi a giocare un altro spareggio promozione, questa volta contro il Varese. Il “senno di poi”, purtroppo per i novaresi, scrive tante controstorie – ma mai la storia.
E il guardalinee eroe di Catanzaro che fine ha fatto? Beh, qualche tempo dopo ha acquistato un distributore di benzina in pieno centro (la leggenda narra che sia stata la stessa dirigenza del club giallorosso a regalargliela ma, non avendo riscontri, crediamo che questa sia e resti una goliardica leggenda che i catanzaresi amano raccontare) e il ricordo della sua “mandrakata” è ancora vivo e, probabilmente, resterà indelebile nella memoria collettiva catanzarese.
Foto tratta da Wikipeda – Di sconosciuto – La nostra Serie A negli anni 70, 14 marzo 2019., Pubblico dominio, Collegamento
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