Francesca Pinardi: “In una grande metropoli ci si sente estremamente più liberi di essere se stessi”

Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista alla fondatrice del brand Rock Rose. La talentuosa illustratrice e designer italiana ha vissuto, per qualche anno, a Londra…

Buongiorno Francesca! Vorrei domandarti subito quando e mossa da quale cosiddetto motore interiore ha avuto origine il tuo viaggio nella moda e nel disegno [clicca qui https://instagram.com/francesca_rockrose?igshid=YmMyMTA2M2Y= per accedere al profilo IG di Francesca Pinardi]. Ciao Giulia! Il mio viaggio nella moda ha origine durante il mio periodo londinese. Ho, infatti, vissuto lì per circa tre anni, Londra è una città piena di stimoli, molto avanti nell’ambito delle tendenze. È in Inghilterra che ho scoperto lo stile retrò, vintage. Ivi, poi, ci si veste in una maniera colorata e spensierata, cosa che nella nostra penisola non avevo mai visto fare. Il mio background è quello del design e della grafica ma una volta tornata in Italia, per motivi familiari, ho invece cominciato ad affacciarmi proprio al mondo della moda… d’altra parte siamo famosi nel mondo anche per l’eccellenza in questo settore. Ho quindi deciso di unire la freschezza delle vibes londinesi con l’eleganza italiana. Devo ammettere che investire in tutto ciò è molto difficile oggi, alla luce dei tempi che corrono, tuttavia occuparmi del mio brand mi piace e mi dà molta soddisfazione”.

Tu sei la fondatrice, nonché designer di Rock Rose dunque ti chiedo da cosa deriva la scelta di tale nome per il tuo brand [clicca qui https://www.rockrose-shop.com/?fbclid= per accedere al sito Internet di Rock Rose]. “Il nome Rock Rose è balenato nella mia mente mentre scrivevo il business plan e mi è subito piaciuto. Specialmente l’allitterazione Ro mi ha subito divertito e, pertanto, ho immediatamente disegnato il logo – logo cioè che non è stato pensato a tavolino, bensì è semplicemente e probabilmente sempre stato nei miei pensieri nell’attesa del momento buono per fiorire. Il marchio rappresenta una rosa tipica dell’Old School Tattoo e rimanda allo stile del brand. Tale fiore è inoltre simbolo di femminilità, di eleganza, di delicatezza però al contempo ha pure le spine che compaiono come sottolineatura di un progetto tosto, caratterizzato da persone e collaboratrici dalla spiccata personalità”.

Da piccola a cosa immaginavi di dedicarti “da grande” e che bambina sei stata? “Sono stata una bimba davvero molto timida e introversa, non che le cose adesso siano molto cambiate rispetto alla mia infanzia… ma ho, comunque, anche un lato che mi porta a voler instaurare amicizie e a conoscere persone nuove e interessanti. Da piccola facevo danza classica e amavo disegnare, poi ho smesso di danzare e ho iniziato a frequentare il liceo scientifico ossia l’opposto di quello che sarebbe stato il mio sogno: andare al liceo artistico! Ho tuttavia recuperato il tempo perduto grazie all’università, dacché mi sono laureata in design della comunicazione – ricordo che appunto all’università mi parve, finalmente, di trovarmi al posto giusto sebbene non del tutto… in quanto da sempre mi sento diversa dagli altri e ciò non perché io mi ritenga migliore di qualcuno, piuttosto mi percepisco semplicemente diversa – e debbo ammettere che sentirmi diversa, molto spesso, mi ha fatto e mi fa – talvolta ancora un pochino – sentire sbagliata. Ad esempio, il mio metodo di fare grafica e illustrare era differente da quello in voga anni fa e che tutti adottavano però, alla fine, ho capito che è essere unici quello che rende le persone e le cose speciali. La bellezza è soggettiva ed essere inimitabili e non una copia della copia della copia è ciò che conta veramente”.

Quale canzone e quale colore assoceresti ai periodi più significativi della tua vita sinora? “Questa è una domanda molto interessante e inaspettata… dico verde e ‘Wannabe’ delle Spice Girls per il periodo della mia infanzia, rosso e ‘Basket Case’ dei Green Day per l’adolescenza. Il giallo e ‘You Really Got Me’ di Van Halen invece li associo al periodo in cui sono stata all’estero, mentre ora domina il viola – la canzone devo trovarla, perché questo mio periodo di libertà non lo comprendendo ancora appieno… Sono stata nuovamente all’estero, questa volta da sola e ho ricominciato pressoché tutto da capo. Ho costruito un brand e sono per l’appunto ancora stordita dai mille cambiamenti della mia vita, da un lavoro durissimo che ho intrapreso sicché non riesco a vedermi dall’alto e a capire a trecentosessanta gradi tale odierna fase, so solo che mi piace moltissimo!”.

Cosa rappresenta per te la Bellezza, l’Arte e quale ritieni che sia il loro principale pregio e valore? “Penso che l’arte sia quel qualcosa che trasmette un’emozione, arte è ciò che rende concreto il mondo interiore dell’artista… è ossia vedere dentro l’anima e la mente, il passato e il presente, di costui. La bellezza è soggettiva tant’è che se un oggetto, un brano, alcune parole le si ritiene belle è poiché ci stanno regalando un certo tipo di piacere (piacere nel vederle o nell’ascoltarle). La beltà e l’arte elevano lo spirito dell’uomo, potremmo vivere anche senza bellezza intorno a noi e senza emozioni ma sarebbe sopravvivenza e non vita”.

Quale ruolo ti pare che giochi e quale ti piacerebbe avesse l’immagine visiva nella società e nel veicolare significati nei più differenti campi della vita – a livello emozionale, d’impegno verso un qual certo “quid”, psicologici a riguardo di sé e di coloro con i quali ci si interfaccia? Nella società, l’immagine visiva gioca un ruolo fondamentale. Ci facciamo costantemente un’idea – pur senza volerlo – di come siano le persone, i luoghi e le cose in base a come si presentano ai nostri occhi. Nel marketing, ad esempio, si costruisce l’immagine coordinandola al moodboard, alla mission e alla vision del brand. Tutto questo si concretizza in un logo disegnato in uno stile e con dei colori che evochino emozioni di un certo tipo, ad esso attinenti, come in linea con l’aspetto visivo ed evocativo del marchio deve essere pure il packaging in maniera tale da esprimere il carattere del prodotto. Lo storytelling ne determina i valori. Per quello che concerne l’abbigliamento valgono i medesimi criteri or ora detti e, anche qualora si pensi di non avere un proprio stile particolare, l’“anonimato” è sinonimo della peculiarità sintetizzabile in ‘non ho uno stile particolare’. A mio avviso ognuno dovrebbe esprimere, con il personale modo di vestire, la propria personalità e trovo davvero sbagliato – a livello psicologico – che la società talvolta ci induca a omologarci, a nasconderci, a cercare di assomigliare gli uni agli altri come se dovessimo fare inevitabilmente parte di in un bel branco tutto grigio e monotono. Ho notato che spesso i miei capi vengono scelti da artiste, da scrittrici, da presentatrici, da illustratrici per mostrarsi al pubblico e per distinguersi proprio in quanto creative e ciò mi dona una grande energia. Sono molto fiera delle mie clienti che talvolta mi mandano le loro foto… questa, per me, è una grande soddisfazione”.

Senza tuttavia voler generalizzare, a tuo avviso, quanto incide per larga parte della gente e per te il timore del giudizio altrui, la geografia e la temporalità in cui si vive, la posizione lavorativa e famigliare che si ricopre nello scegliere come mostrarsi o meno? “Avendo sperimentato la vita in una grande metropoli, posso dire che in un contesto del genere ci si sente tutti estremamente più liberi… puoi trovare uomini d’affari in minigonna e nessuno dirà loro che non sanno svolgere il loro lavoro soltanto perché non indossano i pantaloni. Ci sono poi persone di etnie e di religioni diverse ma nessuno si gira a guardare la donna col velo o l’uomo con la tunica e il turbante… e puoi trovare mamme con la salopette colorata e ricoperte di tatuaggi che non v’è chi dirà loro che non sono abbastanza serie per svolgere adeguatamente il loro ruolo famigliare. Questo è quello che più adoravo di Londra: la libertà di essere autentici ed è ciò che cerco di portare anche in Italia e in Europa, ma mi sto concentrando sull’Italia in particolare in quanto è la nazione che conosco meglio. Noi italiani tendiamo a omologarci, a calzare tutti la stessa scarpa e a portare tutti la stessa giacca etc.. Io tento ovvero, da buona “pecora nera”, di far capire soprattutto alle donne che è il momento di essere uniche e che è giunta l’ora di smettere di nascondere la propria personalità”.

Pensi che debba esserci una sorta di galateo del buongusto e, in caso affermativo, cos’è il buongusto tenendo comunque presente il rispetto delle differenti soggettività di ciascuno di noi? “Il buongusto è qualcosa di molto soggettivo, ma per quanto mi riguarda ho scelto lo stile retrò e vintage… in particolare gli Anni ’50, tuttavia vissuti in maniera moderna ossia deprivati del patriarcato regnante in quell’epoca e dunque affrontati in maniera giocosa e strizzando l’occhio all’ingenuità sexy delle pin-up… tutto ciò si abbina perfettamente al mio stile di illustrazione e ai pattern che propongo. Lo stile retrò difatti, secondo me, è quello ideale perché le gonne coprono – essendo ampie e lunghe – però, non di meno, valorizza le forme in maniera fine ed elegante”.

I ricordi, la sperimentazione e l’osare, il pianificare e l’organizzare, l’istinto e la razionalità quanto sono fondamentali e in che misura timonano il tuo operato ed estro? Il mio lavoro è un gioco di bilanciamento e di scommesse, in cui farebbe utile imparare dall’esperienza passata …ciò è una cosa che nella vita mi riesce poco, ma che nel lavoro ho imparato a fare. Per lungo tempo mi sono chiesta e ho cercato l’equazione fondamentale del best seller sino a che, un giorno, ho letto un articolo che spiegava che prevedere “cosa va e cosa non va” nella moda è impossibile – le grandi aziende fanno il campionario per testare i prodotti benché esse non siano, comunque, immuni dalla variabile imprevedibilità. Per quanto mi riguarda, nell’attesa di poter fare anch’io i campionari, scommetto sui design da mandare in produzione e che saranno prodotti in centinaia di pezzi… questo è effettivamente molto impegnativo e lo decido a istinto, tenendo a mente i miei errori e i successi precedenti. L’organizzazione del lavoro quotidiano è invece minuziosamente pianificata poiché, nonostante abbia numerosi collaboratori, ho su di me un carico di lavoro e di decisioni da prendere non indifferente”.

Quali sono le forme e i materiali che prediligi nel realizzare i capi d’abbigliamento Rock Rose e per quale motivo [clicca qui https://instagram.com/rocknrollemporium_com?igshid=YmMyMTA2M2Y= per accedere al profilo IG di Rock’N’Roll Emporium – Rock Rose]? “Le forme che prediligo sono quelle dell’abbigliamento stile Anni ’40-’50 perché erano fatte bene. Anni, quelli, in cui la fast fashion non esisteva e i modelli rendevano graziosa la forma del corpo. Secondo me, gli abiti di allora, erano di grande fascino e lo sono ancora adesso. I materiali che personalmente preferisco sono quelli comodi… tutte noi abbiamo un abito preferito, ormai consumato, che indossiamo volentieri perché confortevole e perché ci dona. Ecco, la mia mission consiste nel creare il vestito che ci faccia stare bene con noi stesse, psicologicamente ed esteticamente. Inoltre, per me, è molto importante l’inclusività sia in fatto di taglie che di facilità di manutenzione. Questo mi porta a scegliere spesso materiali elasticizzati e che non si stropicciano facilmente – anche quando si tratta di semplice cotone, scelgo quello spesso e un po’ elasticizzato e non quello sottile e di seconda scelta… e la differenza si vede!”.

Qual è il tuo punto di vista sui social [clicca qui https://instagram.com/rockrose_com?igshid=YmMyMTA2M2Y= per accedere al profilo IG di Rock Rose] e con quale finalità ti ci approcci e li utilizzi? I social sono il mezzo principale sul quale, al momento, pubblicizzo il brand e quindi sono di fondamentale importanza per me. Sono una persona introversa e questo non è un difetto, ma per i social lo è… per mia natura, non mi viene spontaneo fare storie su Instagram e video in cui parlo. Con il brand Rock’N’Roll Emporium, ad esempio, ho impiegato anni a decidermi di fare io stessa da modella per i miei capi… complice anche una relazione tossica, lavorativa e personale, in cui l’altra persona non mi incoraggiava affatto e anzi ricordo che mi diceva ‘Ritaglia la faccia, non devi essere riconoscibile… la gente non vuole vedere te, ma solo il vestito’. Peccato che sia invece tutto il contrario… su Internet la gente vuole vedere la realtà, persone vere, al punto che ci si affeziona a uno streamer, a uno youtuber e non soltanto a un brand che vende e mostra i suoi prodotti. Negli ultimi anni, difatti, i video hanno e stanno spopolando. Con l’avvento di TikTtok, dei reel, delle live e – in un prossimo futuro – dei video istantanei, stiamo andando sempre più verso il mostrare se stessi nella quotidianità e per me sarà una grande sfida ma voglio dare tempo al tempo, benché già ora mi senta rinata”.

Infine, prima di salutarci, vuoi anticiparci quali sono i tuoi prossimi progetti e magari rivelarci pure qualche chicca in anteprima? “Ho in programma di collaborare con ragazze bravissime, una delle quali sei tu che mi dai spunti interessantissimi su nuovi pattern da creare. Poi vorrei altresì collaborare ancora con un’illustratrice che adoro… E sì, come si può notare, i miei progetti per il futuro consistono nel creare una bella rete di creatività perché mi ispira molto il confronto con altre menti inventive e fantasiose. Dal punto di vista pratico, so che devo migliorare il packaging in quanto potrebbe sembrare un aspetto secondario ma, in realtà, è assai importante: è, non a caso, un mio obiettivo per quest’anno…”.

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