Schwa significato – Che vuol dire ə e come usarlo

Definizione schwa

Lo schwa è un suono vocalico che viene rappresentato foneticamente con il simbolo ə. È un suono centrale e neutro che si trova in molte lingue, incluso l’italiano. Lo schwa, noto anche come scevà, è un termine che si riferisce a un suono vocale particolare rappresentato dal simbolo ə. Questo simbolo fa parte dell’IPA (International Phonetic Alphabet), un alfabeto fonetico internazionale utilizzato nel campo della linguistica per descrivere i suoni presenti nelle diverse lingue del mondo. L’IPA funge da strumento di lavoro e consente di comprendere la pronuncia di una parola osservando la sua trascrizione fonetica, a condizione di avere familiarità con l’IPA.

Dal punto di vista fonetico, lo schwa è un suono vocalico breve e non accentato. Si caratterizza per una pronuncia rilassata della muscolatura orale e si produce aprendo la bocca leggermente e posizionando la lingua in una posizione intermedia tra le vocali anteriori e posteriori. È un suono molto comune nella parlata quotidiana e spesso compare nelle sillabe deboli o non accentate delle parole.

Nella lingua italiana, lo schwa può essere presente in molte parole, come ad esempio nella parola “università” [univərsiˈta], dove la “e” finale assume il suono dello schwa. Lo schwa può anche apparire all’interno delle parole, ad esempio nella parola “informazione” [informaˈtsjone], dove la “o” centrale viene pronunciata come uno schwa.

In sintesi, lo schwa è un suono vocalico neutro e poco accentato che si trova in molte lingue, incluso l’italiano. È rappresentato dal simbolo fonetico ə e si caratterizza per una pronuncia rilassata della muscolatura orale.

Perchè se ne parla

L’uso dello schwa ha iniziato a diffondersi in numerosi contesti socio-linguistici e della vita di ogni giorno, per cercare di superare il problema che non sia possibile non esprimere il genere di una persona o di un gruppo di persone. Da un lato, infatti, abbiamo il sesso biologico, assegnato alla nascita, dall’altro l’identità di genere, il che si traduce nel fatto che alcune persone si trovino in situazioni in cui non vogliono o non sentono di voler riconoscere il sesso biologico (intersessualità). Senza considerare che poi ci sarebbe in ballo il terzo discorso legato all’orientamento sessuale, che è ancora diverso.

L’espansione delle identità di genere verso forme di “generi altri” crea una tensione con la struttura tradizionale della nostra lingua, che si limita al binomio maschile e femminile. Di conseguenza, coloro che non si identificano con questa dicotomia di genere possono sperimentare un senso di disagio a causa dell’impossibilità di trovare una collocazione chiara all’interno del sistema linguistico esistente.

Esempio classico

Anche a costo di banalizzare e non essere formali al 100%, ci permettiamo di proporre un’idea o un esempio in questa direzione per agevolare la comprensione o almeno stimolare la discussione. In questo scenario attuale, in sostanza, lo schwa servirebbe ad esprimere ad esempio il fatto di non voler identificare il genere quando ci si riferisce ad un gruppo, quindi ad esempio:

buongiorno a tutti

riferito ad un gruppo di persone che non siano tutti maschi è una forma impersonale ma al maschile, mentre sarebbe più corretto scrivere

buongiorno a tuttə

per quanto la questione sia più complessa, non sia agevole utilizzare lo schwa per chiunque, che il problema dell’inclusione sia (a nostro avviso) anche e soprattutto una barriera da abbattere come mentalità e questo approccio non sia accettato universalmente, da un punto di vista formale, da linguisti come Paolo D’Achille. In vari collettivi politici, pertanto, si ricorre a soluzioni autogestite, per cercare di superare non solo il maschile sovraesteso, considerato insufficente dalle femministe, ma anche la doppia forma (“buongiorno a tutte e tutti”), osservando semplicemente che quel “tutte e tutti” non comprende tutta la varietà umana esistente.

La questione non si risolve con un articolo, e dobbiamo ricordarci che nella linguistica è l’uso a stabilire la validità delle nuove parole, non certo le imposizioni dall’alto (come certi appelli un po’ sballati al “panico morale” vorrebbero richiamare).

Di leultime.info

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