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- Il verosimile,cessando di parer vero, poteva manifestare e esercitar liberamente la sua propria e magnifica virtù, poiché non veniva a incontrarsi in un medesimo campo col vero, il quale, o volere o non volere, ha anch’esso una sua ragione e una sua virtù propria e che opera indipendentemente da ogni convenzione in contrario. (I; p. 15) ( Alessandro Manzoni )
- Ella vede come son condotte senza alcun riguardo agli effetti; agli usi, al comodo della scena: molteplicità di personaggi, lunghezza spropositata, parlate inumane pei polmoni, e ancor più per gli orecchi, variazione e slegamento, pochissimo di quel che s’intende comunemente per azione, e un procedere di questa lento, obliquo, a sbalzi; tutto ciò insomma che può rendere diffìcile e odiosa la rappresentazione, v’è riunito come a bello studio. (Manzoni ad Attilio Zuccagni-Orlandini, regio censore degli spettacoli a Firenze, aprile 1828) ( Alessandro Manzoni )
- Quello che vi do, non è né una dottrina né un insegnamento. E da quale pulpito potrei indottrinarvi? Vi informo della via presa da quest’uomo, della sua via, ma non della vostra. La mia via non è la vostra via, dunque non posso insegnarvi nulla. La via è in voi, ma non in dèi, né in dottrine, né in leggi. In noi è la via, la verità e la vita. (p. 231-a; 2010) ( Carl Gustav Jung )
- Non sarà fuor di proposito l’osservare che, anche del verosimile la storia si può qualche volta servire, e senza inconveniente, perché lo fa nella buona maniera, cioè esponendolo nella sua forma propria, e distinguendolo così dal reale. E lo può fare senza che ne sia offesa l’unità del racconto, per la ragione semplicissima che quel verosimile non entra a farne parte. (I; p. 9) ( Alessandro Manzoni )
- Altissimo Amore, se può essere che io muoia | senza aver saputo donde vi possedevo, | in quale sole era la vostra dimora | in quale passato il tempo vostro, in quale ora | io vi amavo, || Altissimo Amore che superate la memoria, | fuoco senza focolare di cui ho fatto tutta la mia luce, | in quale destino tracciavate la mia storia, | in quale sonno si vedeva la vostra gloria, | o mia dimora… || Quando sarò per me stessa perduta | e dispersa nell’abisso infinito, | infinitamente, quando sarò infranta, | quando il presente di cui sono rivestita | avrà tradito, || per l’universo in mille corpi frantumata, | di mille istanti ancora non riuniti, | di cenere setacciata nei cieli fino al nulla, | rifarete per una strana annata | un solo tesoro || rifarete il mio nome e la mia immagine | di mille corpi portati dalla luce, | viva unità senza nome e senza volto, | cuore dello spirito, oh centro del miraggio, | Altissimo Amore. (Catherine Pozzi)
- Senza che lo voglia, appena resto solo e mi metto a pensare a me, torno al vecchio pensiero, il pensiero del perfezionamento: ma il mio difetto principale, e il motivo per il quale non posso tranquillamente seguire questa strada, è che confondo perfezionamento e perfezione. Bisogna prendersi come si è, cercare di correggere i difetti correggibili.