Intervista al cantante The Good Laife

Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista a The Good Laife, del possibile visionare il profilo Instagram cliccando su https://instagram.com/the_good_laife?igshid=MzRlODBiNWFlZA==       

Ciao! Ti domando subito qual è il cosiddetto motore interiore – quel qualcosa e chissà se anche quel qualcuno – che ti ha portato a intraprendere il tuo viaggio nella musica e ciò in relazione anche al tuo nome d’arte [clicca qui https://linktr.ee/thegoodlaife]. “Ciao a te, Giulia! Non mi ricordo molto di come ho iniziato questo mio viaggio nella musica, ma ricordo che proprio la musica mi dava tanto già in tenera età. Mio nonno, quando avevo tre o quattro anni d’età, mi costruì una chitarra finta con del legno compensato (era un tuttofare) cosicché potessi giocare a fare il musicista. È, questo, uno dei primi ricordi che ho della mia infanzia. Casa nostra era circondata da strumenti musicali. Chitarre, microfoni, tastiere e percussioni varie erano costantemente attorno a noi e più passava il tempo e più mi rendevo conto di quanto la musica fosse e sia oggi vitale per me. Essa mi permetteva e mi permette di esprimermi, di rifugiarmi in posti in cui posso toccare alcune corde emotive che altrimenti – nella quotidianità – rimarrebbero sorde… il mio nome d’arte infatti nasce dal connubio tra il mio cognome e la parola “vita”. Mi fa sempre sorridere pensare che è un nickname nato per gioco, dalla probabile intenzione di un mio amico, di sfottermi e che invece è diventato il senso effettivo degli argomenti dei miei brani”.

Da piccolo a cosa, forse, immaginavi di dedicarti una volta divenuto adulto e che bambino sei stato? Attualmente, invece, come descriveresti la tua personalità e quale colore vi assoceresti metaforicamente? “Ero un bambino con pochi amici, non ero uno dei bambini più gettonati tra i miei coetanei ecco. Mi sembrava spesso di parlare un linguaggio diverso dagli altri e, di conseguenza, raramente mi sentivo capito. Ed ecco che la musica mi ha aiutato… dopo scuola, passavo quasi tutti i pomeriggi chiuso in camera mia a suonare e a scrivere, a mettere un CD dietro l’altro nell’impianto di casa e cantavo a squarcia gola. Uno dei miei giochi preferiti era quello di fingere che a scuola avrebbero fatto una competizione musicale in cui ognuno di noi doveva suonare qualcosa. Mimavo anche le presentazioni e l’annunciazione del premio ahah, ero strano, sì lo ammetto. Adesso, in realtà, non sono troppo diverso da prima. Spesso mi chiudo in me, ho il bisogno costante di pensare e la solitudine in questo mi aiuta molto. Sogno ancora di fare la rock star da grande e passo la maggior parte delle giornate cantando, suonando e scrivendo. Alla tua domanda, Giulia, del colore che assocerei metaforicamente alla mia personalità ho avuto dei flash di immagini in testa. Ho visto delle esplosioni di giallo su uno sfondo rosso/bordeaux, qualche striscia di azzurro e una costante altalenanza tra tonalità chiare, vivide e scure, calde”.   

Quanto e in che modo sono stati e sono fonte d’ispirazione e determinanti per la tua artisticità l’ambiente geografico e sociale (compreso quello familiare) e l’epoca in cui vivi, ma altresì i primi input ricevuti durante l’infanzia? “Non posso parlare di quello che sarei stato se fossi nato in un’altra area geografica-sociale, ma posso dire che l’Italia mi ha regalato tantissima musica d’autore e una lingua poetica e dolce (anche se forse non musicale come lo è l’inglese). Proprio l’ambiente sociale ha di sicuro inciso sul mio percorso. Appunto il contesto sociale e geografico in cui sono venuto al mondo e nel quale sono cresciuto – ossia un paesino di circa duemila abitanti, disperso nelle campagne – mi ha difatti trasmesso un senso di “fame”, metaforicamente parlando… mi ha trasmesso la NECESSITÀ, il bisogno primario e incondizionato, di evolvermi e di crescere e mi ha dato un obiettivo e un cammino da percorrere”.

Che cosa rappresenta per te la musica e l’arte più in generale e quale ritieni che sia il loro principale pregio e potere? “Penso che la musica, così come ogni altro tipo di arte, sia nata per dare – a chi ne sente il bisogno – un senso di ordine e d’armonia. Come ci si sente dopo aver visto un concerto, o una mostra, o un film? Non si avverte forse un senso di pace, di benessere? E quando si sta male per qualcosa e si mette quell’x canzone che sembra dire tutto quello che non riusciamo a dire (e magari ci piangiamo pure sopra), dopo non stiamo un po’ meglio di prima? Ecco, il principale pregio dell’arte: dare all’essere umano un attimo di amore e di pace in un mondo di frenesia e di caos”.   

I ricordi e la costanza, la pianificazione e la progettualità, la sperimentazione e l’osare, la razionalità e l’istinto quanto e in quale maniera sono rilevanti nella tuo percorso di vita privata e musicalmente parlando? “Non rischiare per paura del fallimento è la prima causa del fallimento stesso, o qualcosa del genere… penso che nella vita sia necessario osare e sperimentare, uscire dai confini della propria comfort zone per addentrarsi verso l’ignoto. Io cerco di uscire dalla mia safe zone ogni volta che posso, cerco di mettermi in difficoltà (non mi piacciono le cose facili, non fanno per me), cerco sempre di ascoltare il mio istinto anche se a volte vuol dire andare contro chi la pensa diversamente da me. Pianificare va bene, ma non troppo. Per come vivo io, infatti, non riuscirei a pianificare più di tanto ché alla fine cambia sempre qualcosa e mi ritroverei poi a dover ripianificare di nuovo. Preferisco vivermi l’attimo, senza schematizzare eccessivamente alcunché – gli schemi mi mettono ansia. Ciò che per me è importante è la costanza e la dedizione. Spesso nei live dico che, se qualcuno decide di mollare la presa di qualcosa, è quel qualcuno stesso che ha deciso di lasciarla andare e ciò che ne consegue si chiama selezione naturale. Sono fermamente convinto che chi non demorde, prima o poi, qualcosa appunto l’ottiene… la si chiami legge di attrazione, karma o come pare ma il succo comunque non cambia”.   

In che cosa identifichi la bellezza e sei del parere che esista il bello universale? Qualora la tua risposta sia negativa, ti sei mai interrogato su com’è fattibile spiegare il fatto che alcune opere e altresì talune persone siano pressoché unanimemente – in tutti i tempi e in tutti i luoghi – considerate dei “capolavori”? “Non so se sono in grado di identificare la bellezza come oggettiva, anzi penso proprio di no… anche perché sono dell’idea che il valore di qualcosa o di qualcuno vari in base al contesto, alla situazione, al momento storico. Prendiamo come esempio Claudio Baglioni. Lui è tuttora una colonna portante della musica italiana, giusto? Il suo prodotto e la sua arte erano perfettamente in sintonia con il periodo storico in cui ha esordito ma se il signor Claudio fosse nato alla fine degli Anni ’90 e adesso avesse meno di trent’anni, con la sua musica (la stessa che lo ha reso celebre), avrebbe avuto la medesima carriera? Quello che rende un’opera un capolavoro non è l’opera in sé, ma il contesto in cui si trova e soprattutto quanto quell’opera è in grado di sconvolgere e rapire chi si trova in quel determinato contesto o in quel preciso periodo storico”.

Quanto ti sembra che sia importante – soprattutto nella carriera di un personaggio pubblico – l’immagine? Pensi che essa, l’immagine appunto, possa e debba veicolare efficacemente significati emozionali e intellettivi, d’impegno verso un qual certo qualcosa, psicologici a riguardo di sé e di coloro con i quali ci si interfaccia e che ne sia un indicatore di verità? “Beh sì, chiaro… l’immagine è la facciata con cui ci si presenta, un po’ come se fosse il nostro ascendente. Mentre il nostro segno zodiacale parla di noi, l’ascendente parla di come ci presentiamo in pubblico – e, se noi non ci poniamo in maniera adeguata, non vi sarà alcuno che avrà piacere di ascoltarci a prescindere da quanto possa essere di impatto ciò che si ha da dire”.       

A tuo dire in che rapporto stanno libertà, resilienza e audacia? E in tutto ciò, benché io non voglia indurti ad alcuna preconfezionata categorizzazione riduttiva e ingabbiante, dal tuo punto di vista, cos’è e come riconosci l’Amore (sia esso amor proprio, per altre persone e animali, per idee e ideali, per situazioni, luoghi, attività e molto altro ancora)? Sei inoltre mai incorso in una relazione tossica e, se sì, nella veste di manipolatore o di manipolato? “A mio avviso libertà, resilienza e audacia non sono per forza collegate tra loro. È certo però che, se cooperanti, esse possono essere un’ottima arma a propria disposizione. La libertà permette di pensare in modo diverso dalla massa, la resilienza dona la pazienza di aspettare senza perdere la motivazione personale e l’audacia dà la giusta spinta per saltare nel vuoto tant’è che assieme sono un ottimo mix, con loro il risultato è assicurato! Tratto spesso nei miei testi l’argomento della dipendenza affettiva, che per molto tempo ho confuso con l’amore… ma la differenza è invece sostanziale. L’Amore, quello vero e con la -A maiuscola è un qualcosa che nasce da dentro (e non come conseguenza della mancanza di qualcuno) e parla di libertà, urla di abbattere le aspettative e i pregiudizi, è lasciarsi trasportare dal flusso della vita – godendo del viaggio che si sta facendo. Di fatto l’Amore dovrebbe nascere prima di tutto da se stessi, verso sé, ché se prima non si impara ad amarsi non si può nemmeno solo immaginare che qualcun altro possa amarci. Se cioè non si capisce e non ci si capacita del proprio valore personale, non è possibile sperare che qualcuno ci dia e ci riconosca il valore che noi vorremmo avere. Tutti questi voli pindarici sull’“argomento rosa”, in me, hanno radici che nascono da relazioni tossiche nelle quali sono stato manipolato e ho manipolato a mia volta insconsciamente. Non essendo stato io in primis in grado di darmi amore e valore, mi sono ritrovato ad annaspare nelle suddette situazioni negative in cui facevo fatica ad essere me stesso, il vero me stesso”.   

Quali sono i tratti esteriori e interiori che, di solito, ti fanno innamorare? Hai mai riflettuto sul motivo per cui ciascuno di noi viene più spesso attratto da un certo tipo di persona e non da altri, ossia concordi o no con chi sostiene che l’amore sia (soprattutto) una scienza e che dipenda dall’emulazione dei nostri modelli di esperienze di vita che risalgono alla prima infanzia? “Ad essere sincero, se e quando mi sto innamorando, raramente guardo i tratti esteriori. I tratti interiori che invece mi attirano di più sono sicuramente il senso di indipendenza e di libertà di una persona, il suo coraggio e la sua dedizione a se stessa… e questi segni caratteristici li vedo negli occhi, nello sguardo, che costei ha. Ci sono alcuni sguardi che mi bucano l’anima, che mi lasciano lì appeso a tale connessione. Ognuno di noi è indubbiamente incline a ricercare un tipo di figura ben specifica che dipende molto dalla propria infanzia, dal rapporto con i genitori e dagli agenti esterni che proprio durante la propria infanzia hanno contribuito a creare un determinato “target”. Ho amici che, da un punto di vista relazionale, finiscono puntualmente in situazioni di pessimo gusto appunto perché si circondano continuamente di persone di quello stesso target. Detto ciò, sono del parere che sia tuttavia possibile uscire da questo fitto labirinto imparando a riconoscere questi suddetti pessimi modelli e cercando di “cambiare strada”. L’Amore, quello vero, quello grande, nasce proprio e solo quando si riesce ad abbattere simili modelli di esperienze di vita risalenti alla propria fanciullezza”.

Quale ipotizzi che sia la tua peculiarità artistica e quale supponi che siano le caratteristiche più apprezzate da coloro con i quali collabori, nonché dai tuoi ascoltatori? “Uno dei miei punti più forti è senz’altro la comunicazione. Quando canto determinati testi, è come se ci mettessi la faccia in prima persona… non mi limito ad interpretare. Le parole che canto le vivo con tutto me stesso e questo alla gente arriva – arriva che mi sto facendo carico di quella determinata emozione e, chi vuole, può fare un giro in giostra e viverla insieme a me”. 

C’è qualche tuo/a collega che stimi particolarmente e con il/la quale, ad oggi, saresti propenso a lavorare assieme stabilmente? E, qualora tu lo abbia seguito, c’è stato qualcuno (e perché) che ti ha favorevolmente colpito al Festival di Sanremo 2023? “Stabilmente non lo so, sono così tanto mutevole ahahah… diciamo che non mi dispiacerebbe aprire qualche collaborazione, questo sì… la musica necessita sempre di nuovi stimoli. Mi piacerebbe fare un feat. con Madame, lei ha una vena artistica e comunicativa che mi manda fuori di testa”.     

Oggigiorno, parteciperesti volentieri a qualche talent show e/o reality? Qual è poi il tuo parere inerentemente le potenzialità dei social network e il loro utilizzo – e sui possibili motivi del fatto che, nella nostra odierna epoca, si sta assistendo sempre più a un proliferare di aspiranti “influencer”? “Se si presentasse l’occasione, potrei partecipare a qualche talent show o reality ché non ci trovo niente di male… anzi, sono tutte esperienze utili e ciò a prescindere dal risultato ottenuto. I social hanno stravolto il mondo per come lo conoscevamo in passato, hanno rafforzato abbondantemente il discorso dell’immagine al punto che oggi si dà troppa importanza a questa e troppo poca a ciò che è reale. Capita spesso che, per qualche periodo, io mi astenga dai social e non è cattiveria la mia bensì ho solo capito che – se vi sto troppo attaccato – perdo il contatto con la realtà… perdo la sensazione dei piedi nudi sull’erba (non so se riesco a spiegarmi), io sono cresciuto in campagna e se mi si toglie tale sensazione mi si uccide”. 

Pensi che esista il destino e, eventualmente, secondo quali termini? Ti sei mai interrogato a proposito della sussistenza del male nel mondo in rapporto alla presunta bontà, onnipresenza, onniscienza e onnipotenza attribuita dall’essere umano alla divinità e al suo operato (cioè sulla questione della Teodicea)? “Per quanto mi riguarda, penso che il destino esista ma non nel modo in cui alcuni tendono a  immaginarlo. Non penso ossia che esista una sorta di “libro” dove c’è già scritta tutta quanta la nostra storia (che palle, altrimenti!). Penso piuttosto che, man mano che ci si trova davanti a delle situazioni e a delle scelte, si delinino davanti a noi varie strade… me le immagino come se fossero tanti fili luminescenti, sottili e dorati che crescono come le radici di un albero – e ogni strada, ogni filo dorato preso comporterà il delinearsi di altri fili. La vita è fatta di scelte e queste scelte spettano soltanto a noi, solo che noi non abbiamo un quadro completo di alcun gigantesco puzzle ma ne vediamo solamente una parte e ciò rende tutto sicuramente. più difficile. Il problema del bene e del male è complicato da spiegare, mi viene in mente il paragone con la bilancia. Nel mondo c’è sempre un equilibrio in tutto. Se si toglie troppo da una parte, la bilancia si alzerà troppo dall’altra e viceversa. Il fatto è che, appunto vedendo solo una parte del quadro, ci sembra che il mondo stia andando in frantumi ogni giorno di più. Siamo sempre con in bocca la frase <<Prima si stava meglio>>, <<Oh, ti ricordi quei tempi? Erano bellissimi>> ma il mondo si muove per cicli. C’è un detto, mi sembra britannico però non garantisco, che dice <<I tempi brutti/duri creano persone forti. Le persone forti creano tempi belli/felici. I bei tempi creano persone malate/deboli. Le persone malate/deboli creano brutti tempi>> (in inglese suona meglio, ma voglio essere il più possibile chiaro)”.   

Infine, prima di salutarci, vuoi condividere con noi se hai delle novità in cantiere a stretto giro e alcuni progetti a più lungo termine? “A breve (entro la fine dell’estate) il mio team ed io usciremo con un brano nuovo, che sarà disponibile su tutte le piattaforme digitali tra cui YouTube e Spotify. Non posso dire altro su questa nuova uscita, solo che parla di una cosa comune a tutti noi ma che in pochi conoscono. Avete mai sentito parlare della “sindrome di Pollyanna”? Se la risposta è no, sono felice di lasciare il lettore con tale piccolo interrogativo… Bella per tutti!”.

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