In relazione al delicato caso del video intimo fatto circolare delle maestra di Torino sono uscite fuori problematiche sempre più pressanti, annesse al rispetto della privacy ed alla corretta attribuzione delle responsabilità. Tali atteggiamenti, spesso fuorvianti e fuori bersaglio, sono spesso tradotti in reazioni puramente “di pancia” (a mio umile avviso, sia da parte di chi ha visibilmente ragione che da parte di chi, evidentemente, ha torto e fatica a riconoscerlo), che il clima pandemico in cui viviamo esaspera e tende a far diventare del tutto incontrollabili.
C’è un problema di attribuzione di responsabilità per quello che riguarda “chi ha fatto cosa“, e che tende a dare la colpa non a chi ha condiviso un video privato illecitamente, quanto a chi non avrebbe dovuto condividerlo ab ovo (sempre secondo questa secondo me riduttiva vulgata). Se c’è un problema di generale sottovalutazione del mezzo internet, ce n’è anche uno di etica personale, molto più profondo – per quanto sembri banale scriverlo, certe cose non si dovrebbero fare e basta. Del resto è chiaro che, da un punto di vista tecnico (come avevo sottolineato nell’articolo precedente) in troppi dimenticano che quello che finisce su internet ci rimane per sempre, ed è spesso causa di problemi infiniti alla persona se si tratta di foto o video intimi (succedeva lo stesso con alcuni video che giravano su eMule, anni fa, che probabilmente la maggioranza ha dimenticato e, sperabilmente, neanche ricorda più).
Una certa corrente di pensiero, peraltro, simboleggiata pienamente, a mio avviso, dal post su Facebook che ho appena riportato, parla ed insinua un concetto di “rieducazione” del desiderio maschile, che effettivamente è biecamente cameratesco in molti casi, e che di primo acchito mi sento senza dubbio di condividere. Poi pero’, da uomo, ripensando ai tempi pandemici di cui sopra, trovo inquietante anche solo discuterne: viviamo in tempi in cui la nostra libertà è, per forza di cose, limitata, e a momenti sarebbe passata l’idea sballata (e disfunzionale) di un’app di stato per controllare i nostri contatti reciproci. No, il desiderio non si può rieducare, secondo me, a nessun livello, e questo per due motivi fondamentali (anzi, tre).
Il desiderio secondo me, peraltro, non va rieducato: è ridicolo pensare di poterlo fare, non sarebbe più desiderio – per lo stesso motivo per cui se uno ha fame non puoi pensare di rieducare la sua fame e farlo campare d’aria. Se uno ha fame non può mordere quello che capita, e tantomeno nessuno deve sentirsi in dovere di “darsi da mangiare” all’altro per pietismo o altro. Se uno ha fame, fondamentalmente, è inutile che vada in farmacia o provi a mordere la sarta: deve andare al supermercato, questo è il senso (se posso usare questa metafora senza essere accusato di chissà quale eresia linguistica). Fermo restando che il problema della disparità di trattamento c’è, ed è da beoti negarlo o dire che “è colpa delle femministe” (me ne guardo bene), bisognerebbe partire da presupposti meno guerriglieri e più razionali, utilizzando anche un linguaggio che dovrebbe (se possibile) essere diverso.
Il primo problema di un post come quello, di fatto, è che fa passare l’idea che il calcetto sia quasi la causa della violenza sulle donne: a chi si è espresso in quei termini, e ancor più a chi ha commentato col dente avvelenato, andrei a far leggere la chat del “mio” calcetto, quello di cui faccio parte da quasi un decennio. Ora, per quanto non ci siamo mai espressi in maniera particolarmente raffinata tra di noi, posso garantire – e firmare col sangue- sul fatto che mai, e dico mai, sarebbe avvenuta la divulgazione del video hard di una nostra frequentazione, moglie o fidanzata che fosse. Siamo brave persone con pregi e difetti, un gruppo unito, giochiamo a calcetto da anni e siamo amici da una vita: per cui, a questo punto, capisco poco la criminalizzazione della chat in sè, che mi sembra molto simile a prendersela col dito per non guardare la luna.
Il problema non sono le chat di Whatsapp del calcetto, non è neanche Telegram, non sono i gruppi privati di Facebook: il problema, semplicemente, sono le persone che non sono tutte uguali, e ce ne sono alcune si comportano molto male, purtroppo. È di questo che si dovrebbe parlare, al limite di una riforma legislativa, di regole più chiare che disincentivino la condivisione di video privati. Lo sceriffismo di chi vorrebbe una “rivolta delle donne”, dietro una tastiera, puramente di pancia e fatta di mere sbroccate, alla fine, produce un effetto che è diametralmente opposto a quello che quelle promotrici sperano: crea solo livore, rabbia ed ulteriori reciproche accuse.
Ogni volta che leggo una rivendicazione femminista su questa falsariga, lo ribadisco, mi trovo tendenzialmente d’accordo con la sostanza, per quanto rivedrei anche lo stile comunicativo – che in alcuni casi è ancora ancorato a come si faceva comunicazione negli anni 70, quando certe femministe attaccarono anche Federico Fellini, ad esempio. Quel post lo rappresenta in modo piuttosto evidente, a cominciare dall’enfasi iniziale Il secondo problema di questo approccio frontale (a mio avviso, ovviamente) è che, appunto, è frontale, e non crea i presupposti per una relazione con il partner che sia equilibrata: la parità è un concetto chiave per l’avvio di un qualsiasi flirt o relazione, del resto, il che non vuol dire semplicemente “avere gli stessi gusti” o “pensarla allo stesso modo“. La parità è anche saperci provare, e tentare un flirt solo con le persone che siano effettivamente disposte a venire a letto con te, o che quantomeno si pongano in modo paritario con te, non certo a casaccio o spulciando i contatti Facebook o Whatsapp “come viene viene”. La parità avvantaggia sia donne che uomini, alla fine, per quanto possa sembrare un concetto più utopistico degli scritti di Bakunin, se ci si pensa è probabilmente proprio così.
La parità è secondo me un jolly sottovalutatissimo, che vale per moltissimi altri casi, inclusi quelli (o quelle) che vanno a rimorchiare nel pub sotto casa (quando e se è possibile andarci… anche qui, i tempi in cui viviamo cambiano parecchio le carte in tavola), e non implica necessariamente una relazione duratura. La parità non è sicuramente quella espressa da un atteggiamento femminista che tende a creare solo polarizzazioni (del tipo: uomini burberi contro donne intelligenti ma con cui è difficile ragionare, che poi finisce per degenerare, banalmente, in uomini contro donne). È un emblema di ciò che in un dibattito non potrà mai funzionare al 100%, proprio perchè (ed arrivo al terzo punto) molti uomini che non rientrerebbero mai nella categoria degli “orchi” proveranno disagio ad entrare nella discussione. Stavo per commentare quel post sulla falsariga di quanto ho scritto, poi ho preferito scriverci questo articolo per evitare incomprensioni o malcompresi (sempre probabilissimi, su Facebook, anche se commenti una partita di calcio). Eppure io ho le idee chiare sull’argomento, solo che non mi va che venga messa su quel piano, e che il femminismo diventi (da pensiero nobile così come è nato) un semplice paravento dietro cui molte donne possano ripararsi “in mancanza d’altro“.
Non serve, insomma, suggerire che la donna debba irrigidirsi, diventare aggressiva e leader del settore, dettare lei le regole (con l’uomo che, per dispetto, dovrà stare zitto e buono a sua volta), perchè questo (purtroppo per tutti, direi) non basta: se bastasse uno sciopero del sesso – come scriveva ironicamente Aristofane, se ricordate – ritengo che, nei secoli, qualcuna l’avrebbe già indetto da un pezzo, problem solved. Non è successo, e non mi sembra un caso. Questo atteggiamento, peraltro, crea un’aggressività latente che poche donne, secondo me, sanno scindere ed utilizzare: semplicemente, molte diventano aggressive con tutti, e anche uomini come me che tutto sommato meriterebbero una relazione paritaria. Abbiamo tantissime difficoltà a relazionarci con le donne: vuoi per timidezza, vuoi per sfortuna, vuoi perchè questo clima battagliero non ci incoraggia a cercare un bel nulla, vuoi per la crescente popolarità della figura temutissima degli incel, vuoi per la mancanza di parità, e vuoi perchè siamo vissuti e cresciuti – nostro malgrado – nelle vituperate province italiane in cui, di fatto, sembra che la donna conceda il sesso come se ci facesse un favore e solo se “le portiamo in giro”, le veneriamo e via dicendo). Se noi persone “normali” con normalissime chat di calcetto (in cui, lo ripeto, al massimo si bestemmia, o ci si prende in giro perchè non siamo proprio come Giorgio Chiellini in difesa), che mai andremmo a sputtanare una compagna in quel modo, ci facciamo da parte, sapete cosa succede? Succede che restano solo gli uomini “rudi e virili” a costituire il modello dominante, il che dialetticamente aiuta i discorsi di certe femministe ma, all’atto pratico, crea un conflitto insanabile per definizione. Il che mi sembra peggio per tutti, a quel punto.
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