Nessuno, ahinoi, si stupisce più nell’apprendere di scontri tra delinquenti (no, non sono “tifosi”) in concomitanza con le partite di calcio, anche quando queste si giocano tra squadre di infima categoria dove i giocatori vengono pagati a pezze di formaggio e quarti di agnello (e questo non giustifica chi si picchia per la finale di Coppa del Mondo, sia ben inteso).
Ma pensare che una vera e propria guerra con eserciti schierati, più di cinquemila vittime e diplomazie internazionali febbrilmente all’opera per fermare le violenze, possa essere scaturita da un confronto calcistico, beh, francamente sembra troppo anche per un razza, quella umana, che ha un cervello molto grande che usa troppo poco.
Eppure, tra giugno e agosto del 1969, mentre ci si apprestava ad assistere allo sbarco sulla luna e al concerto di Woodstock, le due nazioni centro-americane di Honduras e El Salvador ritennero opportuno dichiararsi guerra, a seguito di uno spareggio per partecipare ai Mondiali di calcio da svolgersi in Messico l’anno seguente.
E’ chiaro, la partita di calcio è stata solo un pretesto, la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso pieno di incomprensioni, dispetti reciproci e necessità “politica” di far parlare di sé costi quel che costi. Ma, mentre i politicanti sapevano bene quali fossero le vere ragioni dello scontro, al volgo incolto e impreparato la motivazione calcistica è parsa più che sufficiente per imbracciare i fucili e andare a morire al fronte.
Le relazioni tra le due nazioni erano tese per varie ragioni: da una parte, El Salvador rivendicava alcuni terreni costieri di proprietà Honduregna che gli avrebbero consentito un comodo sbocco sull’Oceano Pacifico, in un punto nevralgico per il mercato navale; dall’altra, l’Honduras lamentava l’esiguità degli investimenti agricoli effettuati sul suo territorio dagli Stati Uniti che, nonostante gli accordi degli inizi degli anni ’60, in cui aveva promesso distribuzione di risorse per le due repubbliche (de jure, de facto erano entrambe dittature) centro-americane ad esso affiliate, si dimostrarono molto più generosi con i Salvadoregni di quanto non furono con l’Honduras.
Ciò comportò che, in breve tempo, l’economia di El Salvador era migliorata in maniera drastica rispetto a quello della nazione confinante. Ma, come facilmente intuibile, questa ricchezza era appannaggio dei pochi latifondisti proprietari delle terre coltivate, mentre molti contadini salvadoregni (i campesinos) vivevano ancora al limite dell’indigenza. Avendo, invece, l’Honduras molte terre ancora incolte (poichè gli USA non avevano adempiuto alla promessa di innestare coltivazioni agricole in determinate aree), nel 1967 le due nazioni, nonostante la diffidenza reciproca, firmarono un trattato con cui si permise a 300.000 contadini Salvadoregni di varcare il confine con l’Honduras e insediarsi in queste terre incolte. Tipico di quando la soluzione è peggiore del male, i contadini Honduregni, parimenti indigenti, si ribellarono all’accordo e, dopo soli due anni dalla stipula dell’accordo, il governo di Tegucigalpa intimò agli immigrati Salvadoregni di tornare nella loro nazione di provenienza, confiscandone le terre che, nel frattempo, erano state, bonificate, coltivate e, per quanto possibile, urbanizzate.
Com’è facilmente intuibile, da questo macello politico-diplomatico difficilmente se ne sarebbe potuti uscire con una stretta di mano e una pacca sulle spalle. Gli animi si surriscaldarono sia tra le popolazioni sia nei corridoi della politica e, quando il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, il caso ha voluto che nel calderone bollente colmo di tensioni tra le due nazioni, ci sia caduto pure il sorteggio per gli spareggi del Campionato del Mondo del 1970 che vide le due rappresentative nazionali affrontarsi nella semifinale per la zona centro-americana.
Ora un piccolo inciso sul regolamento della competizione calcistica: all’epoca non valeva la regola in vigore ai nostri giorni per cui, in caso di parità di punteggio tra andata e ritorno, chi ha segnato più gol in trasferta passa il turno bensì, in caso di due pareggi o di una vittoria a testa delle due squadre, si procedeva a disputare una terza gara in campo neutro. Tenete a mente questo particolare perchè ci tornerà utile tra poco.
Fu così che l’8 giugno del 1969, a Tegucigalpa, capitale dell’Honduras, si giocò la gara di andata della semifinale. Il giorno prima gli Honduregni accolsero la squadra ospite prendendo a sassate l’albergo dove dimoravano e suonando i clacson delle auto per tutta la notte per impedirgli di dormire. Il giorno dopo, quando la squadra stava per dirigersi allo stadio, una folla inferocita bloccò il pulman su cui erano a bordo bucandone le ruote. Inutile dire che all’interno dello stadio l’ambiente era ancora più infuocato e la partita finì 1 a 0 per la formazione di casa con i salvadoregni che giurarono vendetta nella gara di ritorno che si sarebbe svolta a San Salvador la settimana successiva… e mantennero la parola.
Se i salvadoregni il giorno prima della partita di Tegucigalpa non chiusero occhio per il rumore incessante, alla nazionale dell’Honduras andò ancora peggio poichè, per timore che i “tifosi” locali asserragliati sotto l’albergo assalissero il palazzo, la delegazione fu costretta a passare la notte sul tetto dell’hotel e, solo all’alba, quando la folla si era ormai diradata, la polizia divise la squadra in piccoli gruppi e li fece ospitare fino a poco prima dell’inizio dell’incontro in casa di alcuni emigrati honduregni da tempo residenti in El Salvador. Ciò non servì a salvare la vita all’accompagnatore della nazionale dell’Honduras, un salvadoregno, che venne ucciso a sassate. Per trasportare squadra e staff della nazionale Honduregna allo stadio si rese necessario imbarcarli a bordo di alcuni carri armati che parcheggiarono all’interno dello stadio stesso.
La partita di ritorno, giocata il 15 giugno, terminò con il risultato di 3 a 0 per El Salvador. Ma negli scontri tra tifosi avvenuti sugli spalti, due tifosi dell’Honduras persero la vita e decine rimasero feriti.
Si rese così necessario disputare la “bella” nel campo neutro di Città del Messico, il 26 luglio allo stadio Azteca.
Paradossalmente, giocandosi la gara in campo neutro ma aperto al pubblico, le tifoserie ebbero modo di affrontarsi in maniera ancora più feroce di quanto avvenuto nelle gare di andata e ritorno e la presenza di ben 5.000 militari messicani a tutela dell’ordine, non servì ad evitare che la zona circostante lo stadio Azteca diventasse lo scenario di una vera e propria battaglia urbana.
La partita, comunque, si disputò regolarmente e terminò 3 a 2 dopo i tempi supplementari in favore di El Salvador.
Poco dopo la fine della partita, il governo Honduregno, facendo proprio il malcontento popolare scatenato dall’eliminazione della propria nazionale e vissuta come una ingiustizia e un’onta da vendicare, comunicò a quello di El Salvador la rottura di ogni tipo di relazione diplomatica. La goccia aveva fatto drammaticamente traboccare il vaso, l’escalation di provocazioni al confine si protrasse fino al 14 luglio quando, in serata, l’avizione Salvadoregna invase lo spazio aereo dell’Honduras e cominciò a bombardare le postazioni nemiche, subito seguita dalle forze di terra che valicarono le frontiere. La guerra, con continui capovolgimenti di fronte si protrasse per altri cinque giorni, fino al 19 luglio, e sporadiche scaramucce di confine avvennero fino al 5 di agosto. Il conflitto, scoppiato (anche) per una partita di pallone, causò circa 5.500 vittime tra militari e civili e non spostò di un solo metro i confini tra le due nazioni nè permise all’Honduras di espropriare i contadini emigrati dal Salvador poichè, se lo avesse fatto, la comunità internazionale avrebbe adottato un pesante embargo verso il regime di Tegucigalpa.
Se non si stesse parlando di vittime e feriti causati dalla più inutile delle guerre, il fatto che dopo tutto ciò la nazionale di calcio di El Salvador perse la finale spareggio contro Haiti, non qualificandosi quindi per i mondiali del 1970, farebbe quasi ridere.
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