Andata ottavi di finale di Champions League: il punto.

La due giorni di Champions che ha proposto i primi quattro incontri degli ottavi di finale è andata in archivio ieri con la vittoria interna del Porto sulla Juventus per 2 a 1 e con il 3 a 2 esterno del Borussia Dortmund sul campo del Siviglia del neo acquisto Papu Gomez. Martedì, invece, sul neutro di Budapest, il Liverpool ha vinto agevolmente 2 a 0 sul Lipsia mentre, a Barcellona, il PSG ha demolito con un sonoro 1 a 4 quel che resta di ciò che un tempo era la squadra dei marziani blaugrana.

Tutto secondo pronostico, insomma. Sì, perchè anche i risultati che potrebbero far pensare alla sorpresa, come la sconfitta di misura della Juve e la Caporetto del Barcellona – disintegrato, forse con uno scarto minore a quanto visto in campo, da un PSG che ha rasentato la perfezione pur orfani di Neymar -, non sono altro che lo specchio di ciò che bianconeri e blaugrana stanno dimostrando in questa stagione: crisi di identità prima che di gioco, mancanza di una leadership chiara in campo e in panchina (nonostante i nomi altisonanti che figurano in distinta) e il palesarsi di una panchina più “corta” di quanto ci si sarebbe aspettati.

Ma la Juve, forse, sta meglio del Barcellona. In fondo ai torinesi nel ritorno in casa basterà proporre una partita solida e determinata come molte che ha disputato in questo 2021 – prima del blackout di Napoli – per poter avere la meglio di un Porto sicuramente coriaceo, volitivo e ordinato ma che non è sembrato essere una corazzata invincibile. E, in fondo, la Juve, pagando più del previsto le assenze in difesa e centrocampo, ha fatto di tutto per avvantaggiare gli avversari.

Pronti-via e la Juve si fa gol da sola. In una scena comica, degna del più anonimo e fangoso campo in terra battuta e cicorie di terza categoria, Bentancur e Szczesny (da ora in avanti mi limiterò a scrivere “il portiere”, non me ne vogliano gli amici polacchi) dopo appena un minuto di gioco, forse convinti di essere ancora nelle fasi di riscaldamento, si passano distrattamente l’un l’altro la palla in piena area di rigore, dimentichi che l’iraniano Taremi è pagato proprio per cercare di far gol nella loro porta. Appena l’uruguaiano sbaglia intensità e direzione del passaggio all’indietro, all’attaccante del Porto basta mettere il piedone davanti a quello del portiere polacco per realizzare il gol dell’uno a zero, con buona pace del tiki-taka.

Ci si aspetterebbe una repentina e veemente reazione della Juventus che, invece, rimane compassata e distratta. Il possesso palla sarà per tutta la partita appannaggio di Ronaldo&co. (60% a 40%), ma di azioni pericolose, nel primo tempo, non se ne vede neanche l’ombra. Anzi, è sempre il portiere bianconero, al 13°, con l’ennesima giocata di piede in stile “naif”, a regalare  a Sergio Oliveira una ghiotta occasione con un tiro da fuori disinnescato dalla provvidenziale deviazione in angolo di Kulusevski. Quando, al 35°, Chiellini è costretto a lasciare il posto al centro della difesa a Demiral per un risentimento muscolare, l’idea che per la Juve sia l’ennesima serata storta della stagione ha iniziato a serpeggiare anche nella testa del tifoso più incallito.

Si arriva così, stancamente, alla fine del primo tempo. Ci si aspetterebbe che un tè caldo ristoratore e una bella strigliata di Pirlo (circostanza che stentiamo ad immaginare, dato l’aplomb del tecnico bianconero) ai giocatori più in ombra (tutti, democraticamente), possa dare quel minimo di vitalità in più alla squadra per poter recuperare la partita contro un avversario tutt’altro che trascendentale. Invece la ripresa inizia come era iniziato il primo tempo: dopo pochi secondi dal fischio d’inizio, il Porto si proietta in area bianconera, un paio di passaggi veloci a eludere una difesa immobile come l’esercito di terracotta dell’imperatore Qui e Manafa, dal fondo, serve un assist al bacio per Marega che, con un tiro tutt’altro che irresistibile, insacca per la seconda volta alle spalle del portiere bianconero, apparso inaspettatamente sbadato durante tutto il corso della partita. E, poco dopo, su conclusione di Sergio Oliveira che si inserisce in area indisturbato, Szczesny (copia/incolla ti ringrazio) si esibisce in un goffo intervento che, se non passerà di certo alla storia per lo stile, almeno serve a sventare la terza rete portoghese.

La Juventus sembra in preda ad una crisi di nervi, incapace di costruire azioni d’attacco degne di nota per la bulimia del centrocampo e orfani di un Cristiano Ronaldo che pure è in campo ma non se ne accorge nessuno. I bianconeri iniziano così a tirare in porta da distanza siderale, con il risultato scontato di spolverare qualche seggiolino vuoto nelle parti alte della curva dello stadio do Dragao.

Quando al 63° Pirlo mette in campo il febbricitante Morata (che perderà i sensi a fine partita) al posto dell’evanescente McKennie, complice la stanchezza degli avversari che fino ad allora avevano corso come ossessi, finalmente la Juve inizia a pungere con più convinzione ed è proprio Morata – a mezzo servizio se non meno -, a dare un po’ di brio alla manovra bianconera, con un paio di incursioni pericolose in area biancoblu. La Juve ci crede (non troppo ma abbastanza) e all’82°, su imbeccata di un Rabiot che fino a quel momento era stato quasi disastroso, Chiesa – unico giocatore bianconero ad essere stato positivo durante tutto il corso della gara – con un bel tiro dal vertice sinistro dell’area di rigore, insacca la porta di Marchesin e riapre partita e discorso qualificazione.

All’ultimo secondo di gioco, poi, l’arbitro nega un rigore che è sembrato abbastanza netto su Ronaldo. Il silenzio del VAR sull’azione è ingiustificabile, ma un eventuale pareggio avrebbe premiato oltremodo una Juve opaca e nervosa che, comunque, al ritorno a Torino, ha tutte le carte in regola per passare il turno contro un avversario apparso diligente e ordinato, ma nulla più di questo.

E, con il senno di poi, una notizia non certo allegra per il popolo Juventino è arrivata da Siviglia, dove si è assistito all’ennesima prova monumentale del norvegese Haaland, autore di una doppietta nel 2 a 3 contro la nuova squadra del Papu Gomez. Ricordiamo quando la Juve preferì spendere 40 milioni per acquistare Kulusevsky, giocatore dalle indubbie doti ma mostrate solo in sporadici frangenti, piuttosto che spendere “appena” cinque milioni in più per assicurarsi il cartellino del giovane gigante norvegese, all’epoca di proprietà del Salisburgo e poi passato al Borussia Dortmund, che sta dimostrando a suon di gol di essere l’archetipo della punta moderna. Per la squadra di Gomez, invece, il ritorno in Germania sembra un ostacolo parecchio improbo da superare. Ma non tutto è perduto, due gol a questo Borussia con evidenti buchi difensivi si possono fare (e già ieri il Siviglia li ha fatti), il problema vero per gli spagnoli sarà disinnescare l’attaccante vichingo, soprattutto in una partita che dovranno giocare all’attacco, prestando, gioco forza, il fianco al contropiede giallonero.

Le partite di martedì, invece hanno registrato l’importante vittoria del Liverpool sul volitivo Lipsia, gara giocata in campo neutro a Budapest in virtù delle stringenti norme anticovid imposte dal governo tedesco che ha vietato, senza alcuna deroga, i voli da e per il Regno Unito. Il Lipsia è una buona squadra, messa bene in campo e dalle individualità indiscutibili e ha avuto anche due ghiotte occasioni sullo 0 a 0, cogliendo prima il palo e trovando poi un Allison pronto alla respinta, ma quando per i Red Devils si accendono le ali ai piedi di Salah e Mane, serve ben altro per fermarli. La partita finisce 2 a 0 per gli ospiti e per il match di ritorno il lavoro per gli uomini di Klopp sembra essere tutto in discesa.

Il risultato “meno clamoroso tra i risultati clamorosi” che ci si poteva aspettare si registra al Camp Nou di Barcellona. Il cocente 1 a 4 rifilato a Messi&co. dal PSG degli italiani (tre in campo da titolari, tutti in gran spolvero, Kean, Verratti e Florenzi, contro i soli due della Juve che ha schierato Chiellini e Chiesa, un numero che, probabilmente, la settimana prossima verrà bissato da Atalanta e Lazio) è figlio dello 0 a 3 patito nell’ultimo turno della fase a gironi dalla Juventus ma, ancor di più dall’8 a 2 dell’agosto scorso nella semifinale di Champions contro il Bayern Monaco. Mentre il PSG ha giocato da grande squadra qual è, attenta, cinica, fisicamente al top e con una panchina chilometrica che non ha fatto sentire l’assenza di Neymar (scusate se è poco), il Barca ha dato vita ad uno spettacolo che oserei dire “triste”, animato da un senso di “vorrei (essere quello di un tempo) ma non posso”, con le poche immense stelle del passato recente ancora in squadra (Messi, Pique, Busquets e Jordi Alba) che appiaono sempre più sbiadite, mentre coloro che erano stati acquistati per essere il futuro del club (De Jong, Dembele e Griezmann) spesso, come l’altro ieri, forniscono prestazioni abuliche e anonime, condizionati, forse, anche da scelte non proprio lucide del tecnico Koeman.

Come già detto, il risultato non è affatto “clamoroso”, i guai del Barcellona sono sotto gli occhi di tutti, portati alla luce come la polvere nascosta sotto il tappeto già nella serata dell’8 a 2 di Lisbona contro il Bayern e la proprietà non ha saputo porvi rimedio. Anzi, probabilmente ha solo allargato le crepe nell’ambiente blaugrana. A conti fatti, se il presidente Bartomeu avesse liberato Messi a giugno, come chiesto dall’argentino praticamente in ginocchio, il club, tra incasso per la vendita e risparmio sullo stipendio, avrebbe guadagnato all’incirca duecento milioni di euro che sarebbero stati oro colato per le casse di un club che ha chiuso l’anno finanziario con un passivo mostruoso di circa un miliardo di euro e che se vuole restare al “top” ha bisogno di acquisti di peso internazionale per sostituire i “grandi vecchi” ormai sul viale del tramonto. E, come se non bastasse, l’ingaggio in panchina di Koeman, osteggiato senza mezzi termini dallo stesso Messi, è sembrato essere più un dispetto al club stesso che al giocatore. E’ vero, Messi è un dipendente del club, e certe scelte non toccano a lui ma alla società, così com’è vero che in campo si scende in undici, anche se il numero dieci si chiama Messi, però le colpe della proprietà su una stagione così disastrosa, i cui disastri potrebbero incidere anche sulle prossime annate, non possono essere negate o minimizzate.

Martedì e mercoledì prossimi si chiuderà l’andata degli ottavi di Champions con il seguente calendario:

Martedì 23 febbraio, ore 21.00 : Atletico Madrid – Chelsea; Lazio – Bayern Monaco

Mercoledì 24 febbraio, ore 21.00: Atalanta – Real Madrid; Borussia Moenchenglabdach – Manchester City

Stasera, invece, si giocheranno gli incontri valevoli per i sedicesimi di Europa League con le tre squadre italiane che saranno così impegnate:

Braga – Roma, Ore 18.55;

Stella Rossa di Belgrado – Milan, ore 18.55;

Granada – Napoli, ore 21.00.

Di leultime.info

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