Intervista all’attore Jacopo Cavallaro

Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista all’attore Jacopo Cavallaro, del quale è possibile visionare il profilo Instagram cliccando su https://instagram.com/jacopo_cavallaro?igshid=MzRlODBiNWFlZA==       

Ciao Jacopo! Tu sei un noto e stimato attore che ha già recitato a teatro, al cinema e in televisione pertanto ti chiedo qual è – se v’è – la principale differenza nel lavorare in tali tre sopracitati contesti. “Ciao Giulia! Sono dell’avviso che la differenza nel recitare a teatro, al cinema e in televisione stia solo nel modo in cui il messaggio arriva allo spettatore – cambiano i canali d’espressione e quindi è corretto che, quando si pensa al prodotto da realizzare, ci sia un tipo di lavoro di costruzione delle giuste partiture in base appunto al mezzo di comunicazione utilizzato”.    

Tuo papà è uno scenografo e tua mamma è una pittrice. Ebbene cosa pensi di aver assorbito e rielaborato di quello che hai potuto osservare e imparare da loro e vi è un insegnamento implicito o esplicito, un esempio concreto, che ti è particolarmente caro? “I miei genitori mi hanno dato, aldilà dell’ambito in cui lo si voglia applicare, l’insegnamento più importante che una persona possa trasmettere a un’altra e cioè mi hanno sempre detto di fare quello in cui più credo rispetto a tutto il resto possibile e immaginabile. Loro mi hanno lasciato sempre libero di decidere della mia vita e difatti non ho mai avuto alcun tipo di costrizione… il fatto che lavorassero nell’ambiente artistico non ha mai significato che io dovessi prendere per forza ed inevitabilmente la loro medesima strada, sebbene sicuramente ciò mi abbia dato modo di apprezzare qualcosa che altrimenti per un bambino può diventare ostico – se non viene filtrato nei giusti modi – da approcciare ma nulla più”.      

Nella nostra prima chiacchierata, mi hai detto che la recitazione ti permette di scoprire sempre nuove cose su di te e sulla tua stessa vita. Oggi ti domando quindi a quali scoperte sei pervenuto finora e quali sono quelle pulsioni che albergano dentro te e delle quali, prima di inscenare taluni personaggi, non eri consapevole. “I personaggi che un attore interpreta danno la possibilità allo stesso di vedersi e di toccarsi attraverso colori e sfaccettature che nemmeno lui sapeva di avere… ma è tutto dentro noi, in quanto in ogni persona albergano molti personaggi (e – come diceva Luigi Pirandello – siamo <<uno, nessuno e centomila>>). Quello che io posso dire in merito alle mie scoperte è che non sono diverse da quelle che ognuno di noi può fare su se stesso, dacché appunto non sono nient’altro che tutte le emozioni che un essere umano può vivere e sentire e che normalmente vengono celate dalla quotidianità con cui comunemente ci si scontra (sono ossia quelle pulsioni che ci fanno apprezzare la vita e che ci rendono più dinamici, sensibili, poetici)”.  

Di che cosa ritieni che sia indice e che cosa ipotizzi che vi sia all’origine, ossia quale ne è il motivo psicologico, del fatto che da piccolo sognassi – ma altresì tuttora – di approcciare e immergerti in tanti ambiti differenti? E supponi che sia proprio tale tua esigenza di esplorazione di diverse situazioni che ti ha avvicinato alla recitazione? “Sicuramente l’artista ha, da sempre, un occhio di riguardo verso la scoperta. Capita – credo a tutti gli esseri umani – di sorprenderci quando, sbirciando da dentro un buco di una serratura, ne scopriamo un mondo stupendo aldilà d’essa oppure quando non vediamo nulla e comunque rimane in noi quel desiderio di sapere (e che fa dire <<chissà cosa c’è dietro>>). La voglia di andare oltre l’ordinario è qualcosa che, a mio avviso, rende l’individuo più vivo e gli fa cambiare prospettiva e punto di vista. Si cambia rotta, probabilmente, per non tornare a casa ma per andare sempre alla ricerca di quel confine e di quella fine del mondo mitica di cui ci hanno tanto parlato. Il viaggio è appunto una scoperta e come tale va intrapreso e va condotto con spirito d’avventura”.   

So che eri un bambino che si rifugiava in personali mondi magici e che viveva in campagna, dove avevano luogo e dove intraprendevi sempre nuove avventure. Ci racconti un po’ delle realtà che immaginavi e che creavi nell’infanzia, delle avventure nelle quali amavi inoltrarti e che prediligevi nel mettere in scena? “Com’è tipico dei bambini, in me il sogno e l’immaginazione si confondono con la realtà… e mi immergevo in avventure pazzesche. Mi immaginavo sempre nella veste di personaggi eroici, che dovevano intraprendere viaggi assurdi per salvare qualcuno (quindi mi immaginavo nei panni di un cavaliere, di un poliziotto, di un soldato, di un esploratore). È stato sempre il sopracitato spirito di avventura che mi ha dato la possibilità di inventare le mie storie e credo che tutto ciò sia stato facilitato dal fatto che – avendo un’intera campagna a disposizione e non essendo chiuso dentro a un palazzo di cemento – avevo più possibilità di espandermi rispetto ai bambini che abitavano in città (e sarebbe giusto, secondo me, che ogni bambino avesse tale stessa mia possibilità). Costruivo inoltre tutti i miei oggetti di scena/di viaggio come spade, pistole, archi ossia avevo già allora molta manualità”. 

Hai dichiarato che ti piace il semplice dell’esistenza e che non ti interessa il lusso estremo… In quali situazioni identifichi e percepisci il bello, l’appagante della vita e come sarebbe – teorizzandola almeno ipoteticamente – la tua giornata ideale? “I soldi, indubbiamente, fanno comodo a tutti noi e non voglio dire che sia meglio non averne… dico però che dovremmo ragionare come si faceva una volta quando, anche con poco, tutti erano felici. Non c’è una mia giornata-tipo ideale, bensì io mi accontento di quello che già possiedo e mi basta guardarlo magari altresì da un punto di vista inedito. A mio avviso, ogni cosa può rivivere se le diamo la possibilità di farlo e dunque anche gli oggetti più inutili o rotti possono avere una seconda vita”. 

Quale significato attribuisci e dai all’amicizia? Sei più portato ad avere pochi amici, magari persino storici, oppure ti senti entusiasta e a tuo agio nelle grandi compagnie? “Gli amici sono, per me, importantissimi… anche pochi, ma buoni. Non tutti hanno la fortuna di averceli, magari da molti di loro ne sono stati delusi, ma comunque proprio gli amici si possono ritrovare e se ne possono scoprire pure di nuovi durante tutto il nostro cammino di vita. Io amo stare con la gente, amo la compagnia e coloro con i quali appunto molto spesso sto non sono i miei amici storici perché purtroppo abitiamo in luoghi parecchio lontani l’uno dall’altro – tuttavia la bellezza di questi è che, anche se siamo lontani, tra noi c’è sempre una grande connessione mentale e quando c’è ciò c’è realmente amicizia”.   

Hai spiegato che, per te, l’arte è liberazione e libertà d’espressione del tuo mondo interno più inconscio – e hai aggiunto che essa è, non a caso, il risultato finale di un percorso in cui ci si è inoltrati e che si è provato a realizzare pragmaticamente. Il mio insegnate di recitazione, l’attore cosentino Giuseppe Morrone, mi ripeteva di continuo – al di là del gioco di parole – che la mente mente… qual è il tuo parere a codesto proposito? “L’artista, così come l’attore, molto spesso non sa perché sta facendo quell’x cosa e che cosa lo spinga a farla… forse lo scoprirà, se è fortunato, solo in seguito ma la bellezza dell’arte sta proprio nel fatto che assai sovente essa non deve mostrare proprio nulla – ciò che facciamo viene fatto solo per noi, l’arte è il nostro segno nel mondo. Che la mente menta è una grande verità, tuttavia proprio tale menzogna fa sì che ci buttiamo su cose delle quali non siamo a conoscenza e che eppure, comunque, ci portano a realizzarci e a creare (certe cose bisogna solo viverle, senza far entrare troppo in campo la mente o troppe parole)”.

Il volersi bene e l’apprezzare se stessi, secondo te, da cosa dipendono? Di quali aspetti della tua personalità sei soddisfatto e reputi che siano positivi per te e nei confronti delle persone con le quali ti relazioni, perché no, magari sia a livello professionale che privatamente? “Io penso che bisogna sempre partire dall’apprezzamento di se stessi e che bisogna avere fiducia nelle proprie capacità. Ognuno è bello per il fatto stesso di essere se stesso e ritengo che occorra tenere a mente ciò. Siamo tutti esseri unici e sentiamo, percepiamo, viviamo ognuno secondo un proprio modo personale. Il fatto stesso di essere appunto unici, sono convinto che – se tenuto a mente – porti ad apprezzare l’unicità dell’altro (unicità che sarà diversa dalla nostra). Scoprire le altre persone, vivere le loro storie, entrare empaticamente in contatto con il loro mondo ci fa apprezzare anche le cose più semplici ma che diventano belle per il fatto che non saranno mai uguali alle cose di qualcun altro. Il voler apparire a tutti i costi (cosa, questa, che avviene oggigiorno), il volersi far notare e il voler compiacere più gente possibile lo si potrebbe vedere come un voler appartenere al mondo e mettervi il proprio timbro e la propria firma. Oggi è importante affermare il concetto <<Io esisto>> e lo si grida con forza in giro per il mondo, ma non ci si rende più nemmeno conto di quanto invece se ne si è sopraffatti. Gli influencer oggi vivono di ciò, del voler trovare un proprio posto nel mondo, e lo fanno con un canale che attualmente è il mezzo più veloce per arrivare a tutti noi. Non reputo quello che desiderano e che fanno sbagliato ché in fondo pubblicizzano, vendono, benché non tutti costoro siano intellettualmente preparati su temi di vario genere. Ogni epoca vive le sue storie, in quella contemporanea abbiamo gli influencer [N.d.R. io, Giulia Quaranta Provenzano, mi sono presa la libertà di sostituire e utilizzare il termine “influencer” al maschile invece che al femminile – come invece è stato usato dall’intervistato – in quanto, sino a prova contraria, non ci sono solo le femmine che si dedicano al marketing di influenza!]”.    

Rispettivamente di Marco Bellocchio, Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Luca Guadagnino, Stefano Sollima che cosa ammiri e consideri interessante, pregevole? Che cosa ti affascina invece del cinema americano al punto da desiderare di prendere parte a qualche produzione internazionale? “Di Bellocchio ammiro il suo volersi mettere sempre a confronto con la storia, di Favino apprezzo la professionalità, di Servillo mi entusiasma l’ironia, di Sorrentino mi piacciono le sfaccettature, di Garrone ammiro la verità, di Guadagnino mi affascina il sogno. Del cinema americano invece mi cattura il modo di lavorare, l’innovazione tecnologica sempre al passo con i tempi, ma anche la grande cultura di fondo (che, poi, pro-viene da noi italiani e dal nostro cinema)”.

Tue sono le parole <<Tutto fa esperienza… altresì un talent e quindi, se si presentasse l’occasione, vi parteciperei>>. A questo punto mi sorge spontanea la curiosità circa cosa significhi, dalla tua prospettiva, intrattenimento e in quali imprescindibilità riscontri per l’appunto la capacità di intrattenere. Uno spettacolo, in base alla tua sensibilità, deve essere anche educativo e in grado di far riflettere su argomenti di ordine pressoché universale? “Parteciperei ad un reality perché, in ciò, non ci trovo alcunché di male… i partecipanti sono buffi – seppure li abbia visti poche volte, facendo zapping – e mi fanno ridere, in quanto non fanno altro che litigare e cercare di sopravvivere in un posto in cui stanno chiusi per mesi (e il tale, come esperimento sociale, non è sbagliato). Certo non si sta parlando di programmi culturali, né tanto meno di qualcosa di educativo… anche perché, per la maggior parte del tempo, le parole che proprio i vari partecipanti usano sono imprecazioni l’uno contro l’altro. Detto ciò, la televisione ha bisogno altresì di questo tipo di intrattenimento ossia di qualcosa di semplice e di soft per far svagare chi è stanco della giornata ed è pieno di pensieri. C’è comunque da dire pure che i programmi che invece si occupano di cultura ci sono e basta girare canale e, se lo si vuole, li si trova (ché ce ne sono abbastanza)”. 

Tua è infine la frase <<Bisogna avere coraggio ogni giorno, perché l’esistenza ci porta continuamente a dover affrontare e intraprendere sfide (…)>>. Hai piacere di condividere con noi alcuni momenti che sono stati determinanti nel fungere da cosiddetto spartiacque tra chi forse ti illudevi/sforzavi di essere e come volevi apparire agli occhi altrui e chi, invece, sei autenticamente e a cosa ambisci di fine a se stesso? “Mi limito a dire che ogni giorno mi interrogo su chi sono e su come faccio determinate cose… trovo che fare ciò sia giusto e, molto spesso, mi trovo a riflettere su alcuni passaggi che mi hanno portato a prendere talune decisioni… e mi domando che cosa mi abbia spinto a tali scelte – la cosa importante è la consapevolezza delle proprie azioni”.    

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