Intervista al musicista, cantante, compositore Gianmarco Contini

Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone la prima parte dell’intervista a Gianmarco Contini, in arte Dark Matters, del quale è possibile visionare il profilo Instagram cliccando su https://instagram.com/darkmatters_musician?igshid=MzRlODBiNWFlZA==  

Buongiorno! Vorrei domandarti subito qual è il cosiddetto motore interiore – quel qualcosa e forse anche quel qualcuno – che ti ha portato a intraprendere il tuo viaggio nella musica e ciò altresì in relazione al tuo nome d’arte Dark Matters. “Buongiorno Giulia! Sono nato e cresciuto in una famiglia di artisti, mia madre è una cantante e mio padre è un bassista e un compositore. Entrambi i miei genitori hanno lavorato, per anni, nell’industria musicale, collaborando con molti grandi della musica italiana (ad es. con Claudio Baglioni, Mia Martini, Gianni Morandi etc.). Certamente tutto ciò ha influito sulla mia scelta di intraprendere un percorso affine al loro e devo riconoscere che proprio i miei genitori mi hanno sempre sostenuto in questa mia decisione. Potrei dire che si tratta quindi di un viaggio intrapreso dalla nascita e divenuto più concreto verso i miei cinque anni d’età, quando ho cominciato a “spippolare” al computer, creando musica con l’ausilio di loop predefiniti nel software dedicato. Sono poi passato alla batteria, al pianoforte e così via… fino a ritrovarmi a studiare composizione al Conservatorio di Firenze. E, fin qui, abbiamo parlato del lato “bright” del mio passato. Non si può tuttavia comprendere il mio nome d’arte Dark Matters senza addentrarsi in quelli che sono alcuni dei lati molto oscuri che hanno segnato la mia sensibilità, agenti esterni che – nel bene e nel male – vengono assorbiti e che fanno inevitabilmente parte della vita. Credo che rinnegarli e respingerli sia inutile, anzi controproducente e così ho deciso di farne la poetica principale del mio progetto (per dire a me stesso che vanno accettati e, addirittura, vanno sfruttati in modo tale da diventare persone migliori giorno dopo giorno)”.

Da piccolo a cosa, forse, immaginavi di dedicarti una volta divenuto adulto e che bambino sei stato? Attualmente, invece, come e con quale colore descriveresti metaforicamente la tua personalità? “Da piccolo sognavo di fare molte cose quali il musicista-cantante, il poliziotto, l’agente segreto, l’astronauta, il regista… quando vedevo qualcosa che mi piaceva, fantasticavo sul futuro – ma sapevo che la strada, seppur sempre potenzialmente aperta a nuove scelte, mi avrebbe portato dritto verso la musica. La musica è ciò che ho sempre sentito più rappresentativo in base alla mia personalità. Personalità, la mia, che oggi descriverei come un amalgama di colori e tutti accomunati da una tonalità scura (come se essi avessero come unico filo conduttore il nero e il significato metaforico che attribuisco a quanto ora detto non è attinente al nero che inghiottisce tutto, ma al fatto che dietro al nero appunto si celano mille sfumature diverse)”.

Musicista, cantante e compositore ma quanto e in che modo sono stati e sono fonte d’ispirazione e determinanti per la tua artisticità l’ambiente geografico e sociale (compreso quello familiare), mentre quanto sono stati incisivi i primi input ricevuti durante l’infanzia e questa nostra epoca contemporanea? “Indubbiamente, l’ambiente geografico e sociale hanno esercitato un’influenza fondamentale su di me e ciò a partire dal contesto familiare e dai panorami che ho sempre potuto contemplare intorno a casa mia… vaste campagne, toscane, di una bellezza mozzafiato. È curioso tuttavia che, dal punto di vista sociale, io non sia circondato da amici musicisti. Sono una persona molto selettiva e vado a ricercare gli aspetti più profondi e non necessariamente sono quindi concernenti l’ambito musicale. Il mio più caro amico non sa assolutamente niente di musica, bensì è quello che racconta che io trovo prezioso e “musicalmente” valido. Naturalmente questo discorso non riguarda i rapporti sociali lavorativi che, senza dubbio, dipendono dalla figura professionale dell’interlocutore. Quando voglio però passare del tempo in compagnia di cerchie più ristrette, amo “dimenticarmi” della musica e per poter così staccare un po’. Sta a me, dopo, tradurre le esperienze fatte in suoni. La nostra epoca contemporanea è probabilmente l’aspetto più rilevante. Come si suol dire, e io sono d’accordo, un artista è sempre figlio d’essa ovvero per l’appunto della propria epoca. La musica è ovunque (si pensi ai film, ai videogiochi, alle pubblicità, ai social media ecc. ecc.) e l’udito è un senso che non si può fermare tant’è che udiamo anche mentre dormiamo. Tutti noi, nessuno fa eccezione, veniamo sottoposti ai suoni attivamente o passivamente che sia. Mi piace sempre pormi questa domanda: se Johann Sebastian Bach esistesse ora, che musica scriverebbe?”.   

Che cosa rappresenta per te la musica e l’arte più in generale e quale ritieni che sia il loro principale pregio e potere? “Nel nostro periodo storico, si tende a svalutare l’arte e la musica e ciò nonostante – è utile ricordarlo – nel business dell’industria musicale girino molti soldi (e dunque ci sarà un motivo di tale circolo!)… oggigiorno si considerano più importanti i mestieri scientifici, tecnologici, politici, giudiziari. Quest’ultimi sono certamente lavori non trascurabili, che mandano avanti la nostra società e lo fanno in modo molto evidente. Siamo individui che vogliono vedere i risultati e questo è il “problema” della musica (in realtà, è il suo punto di forza) e cioè che la musica non si vede. Il mondo è, tuttavia, intriso proprio di musica e non esiste una sola società che non possegga la cosiddetta arte dei suoni poiché essa è veicolo imprescindibile di messaggi, di sentimenti, di espressione e di ricezione. Ed è proprio il linguaggio, la strategia, la tradizione che – storicamente – ci hanno permesso di diventare “umani”. Non valorizziamo l’arte perché per noi è scontata ossia, in un certo senso, è come parlare e quindi vogliamo ascoltare la musica gratuitamente così come si parla gratuitamente. Vogliamo vedere film gratuitamente, vogliamo leggere gratuitamente e ci dimentichiamo che chi produce arte produce un “servizio” per cui sono serviti giorni, mesi, anni di studio e di produzione. Paradossalmente, a mio avviso, codesto aspetto sfuggevole le dà ancora più valore. Siamo al mondo per vivere, non per sopravvivere e l’arte fa la differenza. Proviamo a immaginare a come sarebbero stati i lockdown dovuti alla pandemia senza la musica, senza i film, senza i libri, senza i videogiochi, senza un colore. Riflettendo su ciò, credo che daremmo i miliardi ad ogni singolo artista”.       

Quali sensazioni ed emozioni provi rispettivamente quando scrivi, quando canti e quando suoni e vi è un modus operandi che solitamente adotti in ciò – ovverosia in base a cosa e come procedi nella genesi delle tue tracce? “Ci sono due casi diversi, quello in cui devo scrivere musica per una commissione che ha una scadenza, oppure se lo faccio per me stesso. Nel primo caso, prende forma una spinta prettamente professionale (credo che “artigianale” sia la parola migliore) ovvero non aspetto certo che mi venga l’ispirazione. Ciò non significa che il prodotto che ne deriva non sia “ispirato”, ma rappresenta comunque la prova che non è necessario attendere il momento giusto per scrivere musica ed è possibile anzi allenarsi a sentirsi ispirati. Nel secondo caso, tuttavia, il “momentum” è imprescindibile. Ricordo pomeriggi persi al pianoforte nel tentativo di trovare qualcosa, invano. Dico “trovare” perché, quando scrivo appunto musica essendo nel mood appropriato, è come se essa fosse già lì e arrivasse a me quasi senza sforzo… quello che devo fare è semplicemente cantare (se sono in macchina, o lontano dallo strumento), oppure suonare al pianoforte . Ritengo perciò che scrivere si identifichi proprio con il suonare e con il cantare. Non amo molto comporre direttamente su carta, sono una persona molto più pratica da questo punto di vista… quando creo qualcosa, lascio che questo fermenti diversi giorni (o mesi, o addirittura anni in alcuni casi) dentro me e nella detta fase, che definirei “creativo-programmatica”, non metto nero su bianco assolutamente nulla. Quando poi sento di avere le idee chiare, passo alla registrazione su computer – codesta è la fase “sperimentale”. In realtà c’è sperimentazione sempre, fin dall’inizio, ma giunto a tale stadio ho lo scheletro quasi completo e posso permettermi di essere ancora più creativo soprattutto in senso timbrico e di arrangiamento. Segue, solitamente, il mio ascolto del brano con frequenza assidua in maniera da poter stabilire se gli ho dato forma come avevo in mente. E, nella fase di “riascolto”, continuo a ragionare. L’ultima fase invece, “analitica”, è facoltativa ed è solamente una volta arrivato qui che scrivo il brano su carta (in particolar modo, mi capita di farlo se devo consegnare una parte a un musicista così da potergliela far suonare). Completato tutto, passo alla fase di missaggio e masterizzazione in cui ci sono altrettante fasi prima di poter dire che il prodotto è pronto”. 

I ricordi e la costanza, la malinconia e la nostalgia, la pianificazione e la progettualità, la sperimentazione e l’osare, la razionalità e l’istinto quanto e in quale maniera sono rilevanti nella tuo percorso di vita quotidiana e musicalmente parlando? “Giulia, hai praticamente elencato i pilastri portanti del ragionare come compositore. I ricordi derivano dall’esperienza e senza esperienza il musicista non ha niente da raccontare, ecco perché studiare e basta è deleterio… vedersi con le persone, creare legami, soffrire ed essere felici sono – queste – le cose che poi si raccontano in musica e, per poterlo fare, vanno prima vissute. La costanza è invece il segreto dello studio e del progresso. Se si vuole migliorare in qualcosa è meglio cominciare con dieci minuti al giorno, ogni giorno, piuttosto che un’ora solo ogni tanto. E qui entrano in gioco la pianificazione e la progettualità, per potersi gestire al meglio senza tralasciare il lavoro o gli amici. Quando mi accorgo di perdermi per via dei troppi impegni, uso un’app sullo smartphone che mi aiuta a pianificare le giornate e sono molto determinato nel seguire gli scheduling che mi propongo. La sperimentazione va di pari passo con l’osare. Osare significa valicare un confine, generalmente di poco, attraverso proprio la sperimentazione. La lezione migliore penso che ce l’abbia data il secolo scorso e ciò in quasi ogni campo possibile ed immaginabile della vita umana (e la tecnologica odierna ce lo rammenta continuamente). Nella musica ci muoviamo entro confini sicuri, però talvolta è necessario sconfinare e vedere che cosa può esserci oltre – si usa la razionalità per le zone conosciute e l’istinto per quelle sconosciute. Ho lasciato appositamente per ultime la malinconia e la nostalgia, strettamente legate ai ricordi e all’esperienza… esse sono le uniche parole strettamente emozionali che sono state elencate e sono il cuore di tutto (tant’è che, sebbene siano quasi diventate un cliché, è indubbio che senza tale aspetto tutto il detto prima non ha senso)” .   

Quanto ti sembra che sia importante – specialmente nella carriera di un personaggio pubblico – l’immagine? Hai idea che essa, l’immagine appunto, possa e debba veicolare efficacemente significati emozionali e intellettivi, d’impegno verso un qual certo “quid”, psicologici a riguardo di sé e di coloro con i quali ci si interfaccia e che ne sia un indicatore di verità? “Il senso più importante per l’essere umano è la vista e ciò è abbastanza rappresentativo per rendersi conto che l’immagine è importantissima, sia in positivo che in negativo. Per fare un esempio, ogni musicista che voglia accrescere il proprio pubblico – prima o poi – si imbatterà nel discorso del branding (che è proprio quello di cui stiamo parlando e che è sempre esistito, prima ancora dei social media). Basti pensare alle copertine degli album… chi non ricorda quella di “The Dark Side of the Moon”, dei Pink Floyd? I colori, i simboli, i significati che vengono veicolati da un’immagine si legano indissolubilmente al messaggio poetico, artistico e musicale. Sto per dire qualcosa di assurdo ma credo che il disco dei Pink Floyd appunto sarebbe stato recepito un po’ diversamente se la copertina avesse ritratto una mosca caduta in un piatto di minestra e lo affermo senza nulla togliere al suo valore musicale intrinseco, che è oggettivamente ineccepibile… probabilmente sarebbe stato comunque accolto con lodi, però magari avrebbe venduto meno e avrebbe impattato meno sull’immaginario collettivo. Ciò mi fa pensare che l’immagine può anche “truffare”, non è necessariamente un indicatore di verità… e trovo che codesta sia una delle differenze tra un grande artista e uno mediocre ossia il primo cura la propria immagine in modo coerente, l’altro no”.    

In che cosa identifichi la bellezza e sei del parere che esista o no il bello universale? Qualora la tua risposta sia negativa, ti sei mai interrogato su com’è fattibile spiegare il fatto che alcuni elaborati siano pressoché unanimemente – in tutti i tempi e in tutti i luoghi – considerati dei capolavori? “Sono del parere che il bello sia “relativamente oggettivo” e che ci sia una scala di gradi da tenere in considerazione. Parlando degli estremi di questa scala, da un lato è vero che il fattore culturale e sociale abbia una rilevanza pressoché inscindibile dall’oggettivazione del bello… e questo si percepisce in particolar modo nel bello estetico (perciò, in senso lato, può riguardare anche la musica se essa viene analizzata solo dal punto di vista estetico appunto). Ecco dunque che, in una data cultura, una certa opera può essere considerata oggettivamente “bella”. Certo è che bisogna comunque porre attenzione a diversi elementi… in primis, va riconosciuto che la musica non è un linguaggio universale (ciò lo dice l’etnomusicologia, non me lo sto inventando io). La musica è presente in tutte le culture, eppure tale incontrovertibilità non significa che un aborigeno australiano possa capire il linguaggio musicale insito in una sinfonia di Ludwing van Beethoven e, pertanto, qui si rafforza la rilevanza del contesto culturale. Dall’altro lato tuttavia è indubbio che la globalizzazione sta divenendo sempre più concreta e questo si può appurare riscontrando il fatto che in Oriente, per esempio, negli ultimi tempi siano sorti fenomeni musicali filo-occidentali (si pensi al Rock in Giappone, già nel secolo scorso). Gli stessi compositori europei, fin dall’inizio del Novecento, hanno inglobato nella propria musica elementi sonori extraculturali. È inevitabile che prima o poi, tale oggettività sarà ben più espansa rispetto ad ora. Vorrei concludere con un’ultima osservazione e cioè che sono piuttosto convinto che se facessi mettere a confronto un cortometraggio scadente (creato da un dilettante, con pessimi attori e pessima musica, nonché strutturato su una trama piatta) con uno dei film della trilogia de “Il Signore degli Anelli”, persino un aborigeno saprebbe dirmi senza esitazione alcuna – una volta che gli sia stata data una minima contestualizzazione – qual è quello “tecnicamente svolto meglio”… magari personalmente potrebbe non piacergli il film in questione, nondimeno e ad ogni buon conto ne riconoscerebbe il valore artistico superiore rispetto all’altro”.    

Licenza Creative Commons I contenuti di questo blog sono distribuiti con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.