Il recente caso del video hard della maestra di Torino, condiviso incautamente dalla persona che stava frequentando in quel momento (e trovatasi in un vortice di potenziali estorsioni e licenziamento), ricade in una casistica purtroppo ben nota a chi si occupa di informatica. Si dimentica infatti il teorema secondo il quale “ciò che finisce su internet, ci rimane per sempre“. Nel fare questo discorso, ovviamente, diamo per scontato che la persona il cui video è stato condiviso sia sostanzialmente vittima di un abuso, esattamente come successo in molti altri casi di revenge porn analoghi e a volte conclusi addirittura in modo tragico (suicidio della vittima).
Non sta a noi, beninteso, esprimere un giudizio (che non sia di solidarietà con la vittima, e le vittime di casi analoghi), e ci guardiamo bene dal farlo: proprio da tecnici, infatti, sappiamo bene quanto sia diffuso il problema e sappiamo anche, allo stesso modo, che chiunque di noi potrebbe ricadere nello stesso. Se oggi magari ti bulli della vittima e ne diffondi dettagli e contenuti del video o delle foto, domani potresti ritrovarti ad essere tu la parte lesa: magari hai trovato eccitante condividere quel video intimo con una persona con cui c’è feeling e ti fidi, le cose potrebbero cambiare e prendere una piega imprevista.
Anche se probabilmente è un discorso che non sarà facile da far passare e praticare, sarebbe ora di smetterla di condividere video e materiale intimo utilizzando internet: vale a qualsiasi livello, e non fa che peggiorare una situazione che è già abbastanza tragica di suo. Le violazioni della privacy sul web sono all’ordine del giorno, ed in alcuni casi sono perpetrate da aziende che gestiscono siti web che sono i primi, purtroppo, a diffondere questi video. I video vengono visti, spesso scaricati, poi rimossi e regolarmente caricati altrove: non se ne esce, purtroppo, e una volta dentro al frullatore non si riesce più ad uscirne.
Ho sempre pensato che il problema riguardi tutti, e soprattutto lo faccia per via del fatto che si tratta di un tabù, ancora oggi, parlare apertamente di cybersex, visto che se ne parla pubblicamente soltanto quando succedo casi di cronaca mediamente gravi, quasi a suggerire che si tratti di un qualcosa che non deve essere fatto. La linea della cautela, in effetti, dovrebbe farla da padrone: chiunque sia della vecchia scuola ed usi internet da tecnico, sa bene che ciò che finisce in rete e viene condiviso pubblicamente, in particolare, sarà in rete per sempre. Ci sono stati tantissimi a riguardo, e – senza ovviamente volerne fare una colpa di ignoranza a nessuno, ci mancherebbe altro – fin dai tempi di eMule girano filmati del genere sui circuiti P2P. Oggi girano su Telegram e Whatsapp, ma anche in molti gruppi privati Facebook sono circolate foto illegali o comunque senza il consenso delle persone ritratte. Addirittura, leggevo, Pornhub pubblica frequentemente video privati senza alcun controllo, se non su segnalazione diretta dell’interessato che dia la prova di essere la persona ritratta nel video. È un caso ben noto da almeno un paio d’anni, e secondo un report di Vice.com la cosa incoraggerebbe sia il bullismo online che il cosiddetto doxing, ovvero la divulgazione di nome, cognome, indirizzo e numero di telefono delle donne ritratte in quei video.
Abbiamo tutti un diritto alla sessualità, ma la privacy online delle persone dovrebbe essere considerata un valore intoccabile a prescindere: e questo dobbiamo ricordarlo, secondo me, tenendo conto che possono succedere storie del genere, in funzione del fatto che possano succedere e senza degenerare in sterili polemiche sulla privacy cavalcando l’onda di “tanto Facebook ha già i nostri dati”. Questa superficialità è probabilmente uno dei problemi che porta a sottovalutare la possibilità di essere letteralmente sputtanati su internet. E quando succede, purtroppo, è per sempre.
Anche se un esperto informatico fosse contattato per rimuovere un video da un certo sito o si chieda di farlo su un gruppo Whatsapp, quel video si potrebbe comunque scaricare, tenere su un disco fisso e poi ricaricato online altrove; e così, all’infinito. Questa è la cosa di cui bisognerebbe tenere conto, e sulla quale dovremmo essere tutti più attenti e sensibili. Sono anche abbastanza stanco della solidarietà di facciata che spesso si esprime in questi ambiti, e sono altrettanto stufo di chi si erge a moralizzatore e dice che queste cose non si fanno, come se la sessualità non si possa esprimere anche via internet. Certo, va fatto in modo consapevole, senza banalizzare il problema, ed evitando di esporsi più di quanto il mezzo, oggigiorno, non ci imponga di fare senza che neanche ce ne rendiamo conto.
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