Nona vittoria e terza di fila sul cemento australiano, diciottesimo slam in bacheca con cui arriva a sole due lunghezze dal tandem Federer-Nadal, appaiati a quota venti (e più anziani di lui): bastano questi pochi ma importanti numeri per descrivere la grandezza di Novak Djokovic.
La finale contro il russo Medvedev non ha avuto storia, quasi una formalità, suggellata da un sonoro 7-5 6-2 6-2 in meno di due ore di gioco che non ammette repliche. Medvedev, che da lunedì salirà al numero tre del mondo, scavalcando l’austriaco Thiem, è in partita solo nel primo set dove, a tratti, sembra avere la capacità di scalfire la coriacea corazza del serbo. Ma, perso il primo set sul suo turno di battuta, il russo crolla soprattutto mentalmente e il resto del match diventa un veloce sprint verso la cerimonia di premiazione. Dopo il torneo di New Yourk del 2019 questa per Medvedev è la seconda finale persa di un torneo del grande slam, nonostante fosse imbattuto dall’ottobre dello scorso anno.
Di tutt’altro tenore la partita di Djokovic che, solido ed efficace in tutti i fondamentali, dissipa con una finale quasi perfetta tutti i dubbi sulla sua attuale tenuta fisica e mentale, proprio contro il giocatore che aveva espresso il tennis migliore (che non è sinonimo di bello) del torneo.
Il messaggio agli avversari è chiaro: il re del tennis in questo momento dove Nadal sembra appannato e Federer sul punto del ritiro, è ancora lui, con buona pace delle tante nuove leve di talento che prepotentemente cercano di fare la voce grossa. Ma gridare più forte, evidentemente, non basta per diventare campioni.
Ieri si è giocata la finale del torneo femminile che ha visto trionfare la giapponese Osaka, numero 3 (domani salirà al secondo posto), contro la sorpresa del torneo, l’americana Brady numero 23 del mondo. Per la Osaka quello di ieri è il quarto trionfo in uno slam, secondo a Melbourne dopo quello del 2019, sulla sua superfice preferita. Sul cemento di New York, infatti, ha vinto gli altri due titoli nel 2018 e nel 2020.
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